Sarà discussa martedì 7 maggio a Palazzo della Consulta la legittimità dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, fulcro della riforma Nordio. La Corte Costituzionale, presieduta in questa causa dal vicepresidente Francesco Viganò, valuterà i dubbi sollevati da 14 ordinanze di rimessione provenienti da diversi tribunali italiani.
L’attenzione è puntata sulla soppressione dell’articolo 323 del codice penale, che fino a pochi mesi fa sanzionava i pubblici ufficiali per condotte arbitrarie nell’esercizio delle loro funzioni. A destare perplessità sono i possibili profili di incostituzionalità con riferimento agli articoli 3, 11, 97 e 117 della Costituzione, oltre a un’eventuale violazione della Convenzione Onu contro la corruzione (Convenzione di Merida, ratificata dall’Italia nel 2009).
Secondo una delle ordinanze, redatta dalla Cassazione, l’abrogazione del reato senza un adeguato rafforzamento delle misure preventive amministrative rischierebbe di lasciare un vuoto nella tutela dell’imparzialità dell’azione pubblica. Il testo richiama anche gli obblighi internazionali in materia di anticorruzione, sottolineando il possibile conflitto tra la riforma e gli impegni assunti dall’Italia.
Ulteriori rilievi sono contenuti nell’ordinanza del gup di Firenze, che mette in discussione la ragionevolezza della scelta legislativa e il rispetto del principio di uguaglianza previsto dall’articolo 3 della Carta.
All’udienza pubblica parteciperanno, oltre ai legali delle parti coinvolte, anche gli avvocati dello Stato Ettore Figliolia, Lorenzo D’Ascia e Massimo Di Benedetto. Il verdetto della Consulta potrebbe avere un impatto profondo sull’assetto normativo italiano in materia di responsabilità penale dei pubblici ufficiali.