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“Anastasia, l’apocalisse del mio angelo”

Il racconto di mamma Lina su un presunto caso di negligenza medica

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STEFANACONI (VV) «Forse non mi sono spiegato bene, dottore, ehm… professore o chiunque lei sia. Guardi mia figlia!». In questa frase si potrebbe riassumere “l’apocalisse” vissuta da una mamma e dalla sua bambina. Questa è una storia con un finale triste, molto triste. Anzi doloroso. Un dolore che nessun genitore dovrebbe provare, perché è contro natura sopravvivere ad un proprio figlio. La storia risale a qualche decennio fa ma è sempre attuale. Racconta, anzi lascia supporre l’esistenza di un presunto caso di negligenza medica. Non denunciato. Per desiderio dei genitori ma non per questo meno grave. Così il passato diventa contemporaneo quando tocca il dolore, la sofferenza. Il dolore è contemporaneo perché ha un inizio ma non ha una fine. Non si supera il dolore per la perdita di un figlio. Con il dolore si convive. Il dolore diventa compagno di viaggio. Cammina a fianco per tutto il ciclo della vita. Questa storia, si è detto, risale a qualche decennio addietro. I protagonisti sono una mamma, Lina, la sua piccolissima bambina, Anastasia, e la famiglia. Una famiglia unita, sulla quale si può sempre contare, nei momenti lieti ma anche e soprattutto nel dolore.

L’apocalisse di Anastasia

Questa è una storia contemporanea che la mamma ha deciso di raccontare in un libro “Anastasia – l’apocalisse del mio angelo” e attraverso una pagina Facebook. Per mantenere vivo il ricordo, certo, ma anche per far conoscere «l’esistenza di una bambina meravigliosa, dolcissima e maledettamente sfortunata. A lei è stato riservato l’inferno in questo nostro mondo; lei ha vissuto l’apocalisse». Non è un caso, quindi, che il libro si intitola proprio “L’apocalisse del mio angelo”. Tutto ha inizio il 3 luglio 1995. Fino a quel momento la vita di Lina scorreva felice. Un matrimonio a coronamento di un sogno d’amore incontrato a soli 15 anni. Un «amore completo, pulito, magico, unico». È in quel maledetto 3 luglio del 1995 che Lina incontra quel dolore che per una mamma è inconsolabile, eterno.

La prima diagnosi

Anastasia, la sua bambina, sta male. La prima diagnosi, anzi il primo sospetto, arriva pochi giorni prima di quel 3 luglio, esattamente il 28 giugno, quando la pediatra la visita per l’ultima volta e consiglia ai genitori un più approfondito esame. Catanzaro è la destinazione. La diagnosi è «acidosi metabolica». Da Catanzaro i genitori vengono indirizzati verso altri centri specializzati, ovvero Roma o Napoli. La scelta ricade sulla città partenopea, anche perché logisticamente più accessibile per Lina e la sua famiglia. La diagnosi non pone fine al calvario, anzi.

Destinazione Napoli

Il viaggio a Napoli è solo una tappa della sofferenza. È un viaggio di speranza. Una speranza che diventa preghiera. La preghiera della madre che si trasforma in domande senza risposta. «Dove sei, Dio? Perché ci lasci soffrire?». Lina si affida ai medici ma anche alla preghiera. «Che Iddio ci aiuti, siamo letteralmente nelle sue mani» diventa una aggiunta alla terapia medica. Si spera che con l’aiuto dei medici e con quello di Dio, il calvario di Anastasia possa finire. Così non è. Anastasia vivrà gli ultimi mesi della sua breve esistenza in ospedale. Persino il battesimo in chiesa le viene precluso. Per lei il primo sacramento avviene nella cappella del policlinico. L’ospedale diventa la prigione di Lina e della sua bambina. «La bambina sta male, chiamate il medico» diventa una richiesta quotidiana. La bambina sta sempre peggio, si pensa ad un trapianto di fegato. Il sospetto della madre è che la bambina si è aggravata perché sottoposta ad un digiuno forzato. Le urla ai medici per dire loro che nonostante l’allattamento al seno la bambina non prende peso restano inascoltati. Solo dopo continue insistenze i medici comprendono che la mamma ha ragione. Bisognerebbe imparare ad ascoltare le mamme. Loro conoscono i figli più di chiunque altro. Tra una mamma e una figlia si instaura un legame duraturo che inizia dal primo giorno di gravidanza. La figlia è la mamma. Sono un tutt’uno. Bisognerebbe imparare ad ascoltare le mamme. Loro sanno prima di chiunque altro. Per Anastasia si profila l’ipotesi di un trapianto di fegato.

Il trapianto impossibile

I medici provano a tranquillizzare la famiglia. Un sospetto si insinua nella mente di Lina. Una mamma capisce tutto prima di chiunque altro. I valori non sono buoni ma questo non sembra preoccupare i sanitari. Lina prova, si sforza di credere che il suo dubbio sia infondato. Si sforza ma non ci riesce. Una mamma capisce prima di tutto. Il sospetto diventa certezza quando una specializzante «dal volto umano», nell’apprendere da Lina l’ipotesi del trapianto, si abbandona ad un «con questi valori?», per poi aggiungere: «Se lo ha detto il professore». Lina del tutto involontariamente si lascia scappare con i medici quanto detto dalla specializzanda. Non era sua intenzione farlo. Resta il fatto che di quella specializzanda Lina non avrà più notizie, «è stata spostata in altro reparto» le dicono. Per lei, comunque, la giovane medico rimane per sempre «una calda presenza nel bel mezzo di quella apocalisse». La procedura sanitaria prevede un prelievo muscolare in vista del trapianto. Un supplizio che Lina avrebbe voluto risparmiare alla sua bambina. Il trapianto non arriva, forse non era possibile sin dall’inizio ed è per questo che il sospetto della mamma è quello che la sua bambina «è stata utilizzata come cavia».

Il doloroso epilogo

Il giovane cuore di Anastasia cessa di battere il 7 settembre del 1995. La notizia è una doccia fredda. Un macigno che si abbatte sull’esistenza di una giovane mamma che fino all’ultimo spera in un miracolo. A questo punto succede qualcos’altro che ha dell’incredibile. Il papà, Saverio, si rende conto che la bambina respira ancora. La spiegazione è nel fatto che il personale sanitario «si era dimenticato di staccare il respiratore artificiale». Al dolore si aggiunge altro dolore. Alla speranza segue la disperazione. Oggi quando Lina parla di questa apocalisse vissuta da lei e dalla sua famiglia ci tiene a precisare che non condanna «l’errore umano, perché è stato commesso involontariamente»; non condanna «la “malasanità”, perché questa potrebbe essere “giustificata” da diverse situazioni contingenti». La cosa che Lina non riesce proprio a perdonare è «l’inganno», quel tradimento «portato avanti con fredda determinazione pur di ottenere le loro informazioni medico scientifiche». Il sospetto di Lina è che la sua Anastasia «è stata utilizzata come cavia».

Anastasia vive nel ricordo di chi legge

Questa è una storia che non cerca responsabili da portare in tribunale. Questa è una storia che Lina ha voluto raccontare in un libro e in una pagina Facebook. Lina ha voluto e vuole che il mondo conosca la sua Anastasia, la cui esistenza si è interrotta troppo presto. Il suo desiderio, il desiderio di una madre che vive un dolore inconsolabile, è che chi leggerà questa storia possa «aprire il cuore a lei, alla mia adorata Anastasia, e custodire gelosamente il suo ricordo». Il suo augurio è che la sua adorata Anastasia possa «vivere in eterno attraverso il ricordo di chi legge».

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