giovedì, 23 Gennaio 2025

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Autonomia differenziata e lo storico divario che divide l’Italia

Il Paese viaggia a due velocità. Persino il Piano di rinascita e resilienza rischia di non essere incisivo per rilanciare una nuova prospettiva di sviluppo economico e politico

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La tanto invocata e per altri scongiurata Autonomia differenziata riporta in primo piano una delle tante questioni irrisolte, che ha contribuito ad accentuare il divario Nord-Sud: la Questione meridionale. Irrisolta, sebbene alcuni costituzionalisti, tra questi Costantino Mortati, la volevano inserire nel testo della Carta. Oggi la politica è divisa nel dibattito sull’Autonomia differenziata. É divisa tra pro e contro, esattamente come un tempo era divisa sulla Questione meridionale. Quelli a favore (Le forze di maggioranza – Fdi, Forza Italia, Lega, Italia al centro, Noi moderati, più il gruppo per le autonomie) sostengono che una volta assicurati i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) l’Italia ripartirà ad un’unica velocità, con un Sud, fino a questo momento assistito, in grado di agganciare il Nord produttivo. Dall’altra i contrari, (Pd, M5s, Alleanza verdi sinistra, Italia viva e con l’astensione di Azione) sostengono che la sua attuazione non farebbe altro che accentuare ulteriormente il divario esistente.

Dalla questione meridionale all’autonomia differenziata

La tanto invocata e per alcuni scongiurata Autonomia differenziata, si è detto, rispolvera anche la tanto dibattuta Questione meridionale. Ha un senso oggi riproporre il problema? Ha senso se l’argomento viene epurato da quella retorica molto spesso più romanzata che reale. Non ha senso, invece, riparlare di un ritorno ad un Meridione sganciato dal resto d’Italia, ad una sorta di Regno delle due Sicilie in chiave moderna. Ha un senso, ancora, se il problema lo si inquadra in una visione complessiva che abbraccia l’Europa, nella convinzione che la Questione meridionale è questione nazionale e in quanto tale deve essere inserita in un contesto politico più ampio.

Sud spina nel fianco per il Nord?

Il fatto che lo sviluppo del Meridione ha rappresentato negli anni uno dei problemi più dibattuti è fuori discussione; del resto se ne parla sin dai tempi dell’Unità d’Italia, quando rappresentava una priorità dell’agenda politica di Cavour. Il suo programma di rilancio del Sud attraverso un ben più articolato progetto di riforma agricola era, per certi versi, innovativo per il periodo. La scomparsa del politico ha però impedito che il governo unitario affrontasse il problema in chiave risolutiva e moderna. Il rilancio del Sud non è avvenuto con l’Unità d’Italia, non è avvenuto con la Questione meridionale riproposta nel dibattito politico del dopoguerra e rischia di fallire anche con una Autonomia differenziata di cui oggi si disconoscono le fasi di attuazione.

Quelle scelte sbagliate

Fallito ogni altro tentativo, persino quello del costituzionalista calabrese Costantino Mortati, negli anni il Meridione è rimasto vittima di scelte politiche che hanno sempre privilegiato una economia assistita. Il governo centrale si è mostrato “generoso” nell’elargire fiumi di denaro in un progetto di industrializzazione e sviluppo che era fuori da qualsiasi logica razionale dell’economia. Per anni si è guardato allo sviluppo del Sud con una politica di falsa industrializzazione. Oggi, il tanto dibattuto argomento sull’Autonomia differenziata fa emergere la consapevolezza che il Paese può crescere solo se si azzera lo storico divario. Un Paese a due velocità non ha più ragione di esistere. L’occasione per imprimere una svolta con un nuovo progetto di sviluppo può essere offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ma anche questo tentativo rischia di fallire. La maggior parte delle risorse sembrano destinate a singoli progetti, alcuni anche imponenti sulla carta, sganciati tra di loro e che lasciano poco margine all’idea di uno sviluppo armonioso capace di affrontare e risolvere le tante, forse anche troppe, emergenze di cui il Meridione è vittima. Eppure la situazione attuale avrebbe dovuto spingere la politica ad elaborare una strategia di sviluppo rivoluzionaria, certo, ma soprattutto innovativa, per consentire al Meridione di agganciarsi all’Europa e non più solo al resto del Paese. Una visione politica e geografica che non può considerare il Meridione altro rispetto ad un modello di sviluppo Euro-mediterraneo, ponte tra culture e porta di ingresso verso una Europa più moderna.

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