Garante delle vittime o difensore degli imputati? Il paradosso della Regione Calabria continua
C’è un confine sottile tra la farsa e il dramma, e la politica calabrese sembra aver deciso di spingersi sempre oltre, regalando al pubblico scenari degni della miglior commedia dell’assurdo. L’ultimo capitolo di questa tragicommedia riguarda il Garante regionale per la tutela delle vittime di reato, l’Avv. Antonio Lomonaco, il quale, con una disinvoltura sconcertante, si trova contemporaneamente a ricoprire il ruolo di difensore degli imputati in processi in cui le vittime sono proprio coloro che lui dovrebbe tutelare. Un cortocircuito istituzionale da manuale, l’ennesima dimostrazione di come il Consiglio regionale targato Filippo Mancuso e la Giunta di Roberto Occhiuto abbiano trasformato le istituzioni in un’arena dove il conflitto di interessi non è un’eccezione, ma la norma.
Un Garante per le vittime… ma a difendere gli imputati
L’anomalia, ormai sotto gli occhi di tutti, è stata messa nero su bianco in un esposto inviato a più enti e istituzioni, tra cui la Presidenza del Consiglio regionale, la Regione Calabria, la Corte dei Conti, l’ANAC e le Procure di Catanzaro e Reggio Calabria. L’atto denuncia una situazione di palese incompatibilità e conflitto di interessi che getta un’ombra pesante sulla credibilità di un’istituzione nata per tutelare chi ha subito un torto e che, invece, si ritrova con un rappresentante che difende in tribunale chi quei torti li avrebbe commessi.
Il caso simbolo di questa vicenda riguarda proprio l’autore dell’esposto, una vittima di reato che si è ritrovata davanti a una situazione kafkiana: da un lato, il Garante delle vittime di reato, che dovrebbe essere il suo punto di riferimento istituzionale per ricevere tutela e sostegno; dall’altro, lo stesso Garante, nelle vesti di avvocato, a difendere gli imputati nel processo in cui la vittima è lui stesso. Una contraddizione abissale che rende l’incarico di Lomonaco una beffa istituzionale.
Un conflitto di interessi grande quanto un tribunale
Dall’esposto emerge che Lomonaco non è un caso isolato di difensore in un singolo processo: il suo nome appare in numerosi procedimenti come avvocato difensore di imputati, compresi quelli accusati di reati legati alla criminalità organizzata. Il che pone una domanda tanto semplice quanto devastante: come può un avvocato che costruisce la sua carriera sulla difesa di imputati essere contemporaneamente il punto di riferimento istituzionale per le vittime di reato? Un conflitto di interessi talmente evidente da risultare quasi grottesco.
Eppure, a quanto pare, nessuno al Consiglio regionale si è posto il problema prima della nomina. Nessuna verifica sull’incompatibilità, nessuna considerazione sull’evidente contrasto tra la funzione pubblica e l’attività privata. Ma d’altra parte, siamo nella Calabria di Filippo Mancuso e Roberto Occhiuto, dove le nomine non seguono il buon senso, bensì logiche di potere che non si preoccupano certo di dettagli come l’etica istituzionale.
Nomina da revocare, soldi pubblici da restituire?
L’esposto chiede formalmente la decadenza di Lomonaco dalla carica, segnalando anche il possibile danno erariale derivante dall’erogazione dell’indennità pubblica per un ruolo che, di fatto, sarebbe ricoperto in piena violazione dei principi della legge regionale. Si sollecitano anche le Procure e la Corte dei Conti a verificare eventuali profili di rilevanza penale e contabile.
A questo punto, la domanda non è più se Lomonaco debba dimettersi, ma piuttosto perché il Consiglio regionale non abbia ancora preso provvedimenti. La realtà è che, in Calabria, il conflitto di interessi non è più uno scandalo, ma una prassi consolidata. Il problema non è solo Lomonaco, ma l’intero sistema che ha permesso che una simile aberrazione potesse verificarsi senza che nessuno battesse ciglio.
L’ennesimo scandalo dell’era Mancuso-Occhiuto
Questa vicenda non è un semplice episodio, ma l’ennesima conferma di come la Regione Calabria sia gestita con un disprezzo totale per le regole e per la trasparenza. Un Consiglio regionale che legifera senza preoccuparsi delle conseguenze, una Giunta regionale che avalla nomine senza verifiche, un sistema che premia gli amici anziché le competenze.
In un contesto normale, un caso del genere avrebbe già portato a dimissioni immediate. Ma in Calabria, dove tutto si risolve con il silenzio e la complicità della politica, ci si limita a guardare altrove, sperando che la tempesta passi. Ma questa volta il paradosso è troppo grande per essere ignorato.
Le vittime di reato meritano rispetto, non l’umiliazione di vedersi rappresentate da chi difende i loro aggressori. E la Regione Calabria deve decidere se vuole essere un’istituzione credibile o un teatrino dell’assurdo. Ma forse, a giudicare da questa vicenda, la scelta è già stata fatta da tempo.