Ne abbiamo già scritto un po’ di tempo fa, ma la polemica (social, soprattutto) sull’adeguatezza dell’attuale stadio cittadino non si placa. E stavolta coinvolge anche un componente della famiglia Noto, proprietaria dell’Uesse 1929. Una società che, dopo anni di vacche magre (eufemismo!), ha ripreso un cammino consono al suo blasone e a una storia ricca di soddisfazioni e successi, a partire nientemeno dagli anni Sessanta e forse anche prima. Adesso, quindi, è chiaro che nei sogni di tutti, tifosi ma anche e soprattutto patron e dirigenti, ci sia il sogno di un ritorno in A dopo oltre 40 anni di assenza. Un sogno quasi proibito, al momento. Ma che se non quest’anno (come invece bramano i sostenitori giallorossi) potrebbe comunque prendere corpo la stagione ventura. E allora che si fa? Si corre il rischio di andare in… esilio (leggasi campo neutro!) in attesa di avere una struttura idonea a ospitare la massima serie. Che in caso di una sfida con Milan, Inter, Juve e compagnia bella, porterebbe a richieste di biglietti per decine di migliaia di tagliandi.
Certo, è già successo a Crotone non molti anni fa. Ma l’Ezio Scida non ha la stessa collocazione del Nicola Ceravolo, pur essendo vicino al centro abitato. Non quanto l’impianto catanzarese, però. Immerso letteralmente nel contesto cittadino e ‘fuso’ con un quartiere, non a caso denominato Stadio, con un dedalo di viuzze e una cornice di palazzi e case intorno. Fatto che determina molti dubbi, anche per ‘l’annosità’ architettonica della struttura stessa, sulla possibilità di reggere un comunque ancora eventuale campionato di A. In vista di cui c’è tuttavia chi addirittura vorrebbe un nuovo e avveniristico “Coop Stadium”, nome derivante dal grande e noto marchio nazionale a cui è legata la famiglia del patron nel suo lavoro nella grande distribuzione, al posto del vecchio Ceravolo. Difeso, tuttavia, con le unghie e con i denti dai cosiddetti nostalgici o tifosi old style per cui quello è e quello deve restare. Salvo, come ovvio, i necessari adeguamenti per avere il nullaosta per giocarci dentro, facendovi assistere gli spettatori. Che siano 12 o 15mila massimo non importa. Tanto, a giudizio di questi supporter, il problema si porrebbe solo nei match di cartello. Poco, troppo poco, per… traslocare.
Una tesi che non persuade però molto altri, in particolare quanti tra loro hanno difficoltà a raggiungere il vecchio Militare nei giorni della partita o abitano nei pressi del Comunale stesso. Gente che, quando è giorno di gara, è costretta per ore a patire grossi disagi: mancanza di parcheggio; traffico a lungo in tilt e viabilità limitata con l’applicazione della Zona Giallorossa. Ma c’è anche il nient’affatto trascurabile, soprattutto con i tempi grami che corrono, aspetto economico. Che alla società e a chi ne è, direttamente o indirettamente, parte interessano. Eccome. Perché uno stadio nuovo di zecca con bar, ristoranti e forse persino negozi all’interno, da 25-30mila posti, è chiaro come sia in grado di generare un indotto per tutto l’anno che, se funzionante a pieno regime, sarebbe una manna per le casse societarie e fonte di ‘guadagno fresco’ anche nei periodi estivi in cui la stagione agonistica è ferma e dunque non c’è guadagno. Quasi ovvio, quindi, l’acceso confronto social. Che su Facebook divide tanti tifosi, persino chi come premesso è nella famiglia proprietaria dell’Us ’29.