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“Chi vive in Calabria… ma il cielo è sempre più blu”

Una mostra su Rino Gaetano a oltre 40 anni dalla morte. Si tratta della prima del genere. Lo scopo della mostra è quello di raccontare alle nuove generazioni la contemporaneità e l’originalità del pensiero del poeta e cantautore dalle origini crotonesi che non si è mai nascosto dietro alcuna maschera riuscendo a portare avanti idee anticonformiste e mai banali

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Di Carmela Infante. «Io cerco di scrivere canzoni ispirandomi ai discorsi che si possono fare sui tram, in mezzo alla gente, dove ti rendi subito conto dell’andazzo sociale. Non voglio dare insegnamenti, voglio soltanto fare il cronista». Questo è una delle frasi che si possono leggere curiosando nel Museo di Roma in Trastevere, in occasione della prima mostra dedicata a Rino Gaetano (15/02/2024 – 28/04/2024), a oltre quarant’anni dalla sua morte.  Lo scopo della mostra è quello di raccontare alle nuove generazioni la contemporaneità e l’originalità del pensiero  del poeta e cantautore dalle origini crotonesi che non si è mai nascosto dietro alcuna maschera riuscendo a portare avanti idee anticonformiste e mai banali. La mostra è corredata dal catalogo edito da Gangemi Editore che accorpa storia, immagini e testimonianze inedite che ci fanno comprendere la sensibilità e l’anima dell’eclettico  cantautore amante delle lingue, del cinema  e del teatro dell’assurdo. Trastevere  non a caso è il quartiere che il songwriter , quando era residente a Roma, ha vissuto ed amato di più. Nella mostra possiamo ammirare documenti, foto di famiglia, foto di viaggi in Europa e nell’America Latina e tante altre quali quella con una giovanissima e bellissima Sandra Milo che lo intervista, ed ancora cimeli artistici, la raccolta dei dischi piuttosto che la collezione dei suoi cappelli, gelosamente custoditi dall’inseparabile sorella Anna che gli ha dato il soprannome di “Rino”, video quale quello con Maurizio Costanzo e Susanna Agnelli, ma anche svariati  strumenti musicali, manifesti,  libri ed oggetti a lui appartenuti quali “u strummulu” (indicato nella mostra con il nome di trottola), abiti di scena quali l’accappatoio indossato durante il Festivalbar all’Arena di Verona e la giacca in pelle nera indossata a Sanremo. C’ è anche la teca con i testi originali delle sue canzoni impegnate che, dopo la sua morte, sono diventate veri e propri inni tra le nuove generazioni, usate in teatro, quali colonne sonore di film, compilation, street art e festival. Il poeta calabrese, d’adozione romana, come è risaputo, amava la denuncia sociale che è ancora attualissima con quei suoi testi che sanno di anarchia e di poesia allo stesso tempo. Gli piaceva additare la crisi dell’Italia quella delle auto blu di “Nuntereggae più” o di “Gianna”  “che difendeva il suo salario dall’inflazione “ fino a “Ma il cielo è sempre più blu” piena di luoghi comuni e di nefandezze che per i benestanti rappresentano il progresso ed a cui si contrappone l’indole dei “sognatori” che vogliono “un cielo sempre più blu”. Lui che era legato ai temi inerenti alla solitudine e  all’emarginazione ha raggiunto il picco creativo con “Mio fratello è figlio unico”, uno dei dischi più famosi non solo suoi ma più in generale,  nel panorama della musica italiana. Nei suoi testi graffianti si mescolano sapientemente sarcasmo, nonsense ed ironia. Lui che con “Gianna” ha portato per la prima volta sul palco di Sanremo la parola “sesso” , con la sua inedita performance in cui indossava  il cilindro che gli aveva dato Renato Zero portando sulle spalle un asciugamano che le aveva dato l’amata mamma Maria,  è rimasto nel cuore di vecchie e giovani generazioni accomunate dal  ritmo e dalle note delle sue canzoni oltre che dalle sempre  attuali tematiche sociali.

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