Calabria, il lento smantellamento della sanità pubblica: la testimonianza di Francesca Fuoco e il tradimento di un diritto universale
La sanità calabrese si mostra ancora una volta come il laboratorio di un sistema in declino, incapace di garantire dignità e cure adeguate ai suoi cittadini. La lettera di Francesca Fuoco, malata oncologica, è la fotografia di un sistema sanitario fuori controllo, dove le storture organizzative e strutturali si sommano a un meccanismo perverso che progressivamente smantella il pubblico, lasciando spazio al privato.
La voce di una paziente: il dramma di chi non può scegliere
Francesca Fuoco racconta il calvario vissuto durante un esame PET. La sua testimonianza è drammatica:
“Quando urlavo che qualcuno mi aprisse, soffrendo di claustrofobia, è intervenuto il dottore, accorgendosi della mia sofferenza. Ho detto che avrei denunciato la situazione, perché non è normale affrontare un esame così importante in queste condizioni. La donna addetta alla PET mi ha risposto che nessuno mi aveva obbligato a fare l’esame lì, che potevo andare altrove. Mi ha detto che con la denuncia non avrei risolto niente, perché questa è la Calabria. Poi ha aggiunto che una denuncia avrebbe portato solo alla chiusura di questa PET, e che lei sarebbe rimasta senza lavoro, dato che dipende da una società esterna. Pensa che giro d’affari e di malavita…”
Questo episodio, oltre a rappresentare una denuncia contro condizioni disumane, solleva domande su chi davvero tragga vantaggio da una situazione del genere. Non è solo un problema di disorganizzazione, ma un sistema che sembra concepito per fallire. E quando il pubblico fallisce, il privato cresce.
La strategia del declino: smantellare per privatizzare
C’è un disegno che va oltre la superficialità degli errori gestionali. Per far accettare misure inaccettabili, basta applicarle gradualmente, col contagocce, per anni consecutivi. Questo è ciò che accade alla sanità calabrese: una demolizione lenta, ma costante, del servizio pubblico a favore di interessi privati. È il metodo del cambiamento silenzioso, che alla fine normalizza l’inefficienza e trasforma i cittadini in clienti obbligati del privato.
In Calabria, si sperimenta con la complicità del presidente della Regione, che è anche commissario alla sanità, un modello che punta a cancellare il sistema sanitario nazionale, uno dei più grandi al mondo per la sua universalità. La sanità pubblica calabrese, lasciata al suo declino, è il banco di prova per un progetto politico che tradisce la fiducia dei cittadini. Se esiste un crimine in democrazia, è proprio questo: smontare ciò che avrebbe dovuto garantire uguaglianza e diritti per tutti.
Un sistema alla deriva e un crimine politico
Il risultato di questa strategia è un sistema sanitario che si accartoccia su sé stesso, lasciando i pazienti senza alternative. Lo abbiamo visto recentemente con la paralisi della medicina nucleare al Policlinico Dulbecco di Catanzaro, che ha abbandonato i malati oncologici al loro destino. Lo vediamo ogni giorno con episodi come quello raccontato da Francesca Fuoco, che trovano una Calabria incapace di rispondere collettivamente. L’indignazione resta confinata nel privato, senza mai trasformarsi in una protesta comune.
Un appello alla collettività
Noi, come redazione, abbiamo deciso di accogliere questo grido. La lettera della signora Fuoco è solo uno dei tanti episodi che denunciamo e continueremo a denunciare. Invitiamo tutti coloro che si sentono vittime delle storture del sistema sanitario calabrese a scriverci, condividendo le loro esperienze. Trasformeremo ogni storia individuale in una battaglia collettiva, perché solo unendo le voci è possibile scuotere la politica e riportare al centro il diritto universale alla salute.
La sanità pubblica è un pilastro della democrazia, un diritto che non può essere trattato come merce di scambio. La Calabria non può più essere laboratorio di un esperimento che mira a smantellare il sistema sanitario nazionale. È ora che i cittadini, le istituzioni e la politica si assumano le proprie responsabilità. La storia di Francesca Fuoco non deve rimanere solo una denuncia: deve diventare il punto di partenza per un riscatto collettivo.