“La risposta alla richiesta di sicurezza da parte dei cittadini è un atto doveroso per lo Stato, a maggior ragione nelle zone o nei contesti di forte degrado sociale. Ma il grottesco caravanserraglio di aggravanti ed incrementi di pena squadernati in questo decreto-legge, nel cinico inseguimento del consenso social, è – a quel dichiarato fine – peggio che inutile: è una indecorosa farsa.”
Queste parole, scritte da Giandomenico Caiazza nell’editoriale di PQM di sabato 3 maggio, racchiudono pienamente il senso di ciò che si è discusso durante l’assemblea indetta dalla Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro.









Il riferimento è al famigerato Decreto Sicurezza, che ha provocato una ferma reazione da parte dell’avvocatura penalista italiana. La Giunta dell’UCPI ha infatti proclamato tre giorni di astensione nazionale, culminanti con una manifestazione a Roma, durante i quali sono state promosse numerose iniziative per denunciare e far comprendere alla società civile le gravi storture contenute nel nuovo decreto.
Un decreto che nasce già viziato nell’origine, rivelando la sua matrice securitaria e autoritaria: il Governo ha fatto ricorso alla decretazione d’urgenza pur in assenza di straordinarie motivazioni, per imporre un provvedimento già incardinato in Parlamento come disegno di legge. Questo bypass del Parlamento — espressione della volontà popolare — rivela un metodo decisionale che, ormai, travalica ogni appartenenza politica ed è diventato la norma per ogni governo, indipendentemente dal colore.
Il Decreto Sicurezza 2025 introduce nel nostro ordinamento una mole disordinata di nuove fattispecie di reato, aggravanti, aumenti di pena e misure coercitive, tutte giustificate da una presunta esigenza di tutela immediata della cittadinanza. Tuttavia, il diritto penale massimo e il pan-penalismo che permeano il provvedimento producono l’effetto opposto: non proteggono, ma comprimono i diritti fondamentali dell’essere umano. Oggi si rischia di essere fermati, identificati o sottoposti a misure coercitive anche solo per aver espresso un’opinione o partecipato a una manifestazione pacifica.
Questi temi sono stati al centro della partecipata e accorata assemblea della Camera Penale.Hanno preso la parola il presidente Francesco Iacopino, il segretario Orlando Sapia, i membri del direttivo Stefania Mantelli, Antonella Canino e Angela La Gamma, oltre ai past president Aldo Casalinuovo, Enzo Ioppoli e Giuseppe Carvelli. Numerosi colleghi sono intervenuti denunciando le criticità e i pericoli di questa deriva repressiva.
Di grande rilievo è stato l’intervento del prof. Alberto Scerbo, ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università Magna Graecia, che ha invitato tutti a evitare che lo strumento penale diventi il mezzo ordinario per risolvere i problemi sociali, poiché ciò comporterebbe — come già sta accadendo — un’inaccettabile compressione delle libertà.
È quindi fondamentale parlare alla coscienza collettiva, per non accettare più, passivamente, queste ferite inflitte alla democrazia e alle libertà individuali. Si tratta di una questione che riguarda tutti.
Lo ha ricordato anche Pasquale Motta, direttore de “La Novità Online”, sempre vicino alle battaglie della Camera Penale, parafrasando la celebre predica luterana:
“Ieri hanno preso gli zingari ed io ero quasi contento, perché tanto quelli andavano a rubare. Poi hanno preso gli ebrei, ma mi stavano antipatici. Poi hanno preso i comunisti, ma io non sono comunista. Poi sono venuti a bussare alla mia porta… ma non c’era rimasto nessuno a protestare.”
Nessuno è immune dal rischio di essere inghiottito dalla macchina giudiziaria alimentata da un diritto penale onnivoro. E tutti — ma TUTTI — dobbiamo vigilare per difendere le libertà che i nostri padri hanno conquistato. Come ricordava Benjamin Franklin:
“Chi baratta la libertà con la sicurezza non merita né libertà né sicurezza, e finirà per perderle entrambe.”
Il Direttivo
Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro