Cosenza, la lunga agonia dell’Annunziata: consulenze d’oro, blitz misteriosi e il piano per silurare De Salazar
C’è un’aria strana che aleggia sui piani alti dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Un’aria che sa di resa dei conti, ma senza dichiarazioni ufficiali. Un’atmosfera sospesa, fatta di mosse chirurgiche, blitz calcolati e un silenzio assordante da parte della Regione, che più che neutralità appare come una regia in penombra.
Tutto comincia da un dato: 82 consulenze esterne affidate tra il 2023 e i primi mesi del 2024 per un totale che sfiora il milione e mezzo di euro. Lo ha svelato pochi giorni fa La Novità Online, aprendo uno squarcio inquietante su come vengono spesi i soldi pubblici all’interno dell’ospedale bruzio. In una terra martoriata da disservizi cronici e da una mobilità passiva che vale decine di milioni all’anno, il dato fa rumore. Fa rumore anche perché a fronte di quei numeri si registrano gravi carenze nei servizi essenziali, un pronto soccorso al collasso e reparti in affanno cronico.
E poi, come se non bastasse, ci sono i conti: un disavanzo da 32 milioni di euro nel 2023. Il segno meno che pesa non solo sui bilanci, ma soprattutto sul destino di chi dovrebbe guidare questa azienda verso un futuro più degno di essere chiamato tale.
Il blitz del venerdì: una semplice visita?
Ma è venerdì pomeriggio che il quadro prende forma. Non un venerdì qualsiasi, ma quello che cade alla vigilia di un lungo ponte festivo, quando le strutture pubbliche si svuotano e i controlli si allentano. Proprio in quell’orario, due figure chiave del sistema sanitario calabrese — Tommaso Calabrò, direttore del Dipartimento regionale Tutela della Salute, e Licia Petropulacos, consulente personale del presidente-commissario Roberto Occhiuto — si presentano in forma anonima, senza preavviso, all’ospedale dell’Annunziata.
Un sopralluogo improvviso, con toni da blitz. Nessuna comunicazione ufficiale alla direzione generale, nessuna telefonata di cortesia al dottor Vitaliano De Salazar, il massimo dirigente dell’Azienda. I due emissari ispezionano reparti, visitano sale operatorie, entrano nel pronto soccorso e raccolgono elementi. Cosa abbiano trovato di preciso ancora non è noto nei dettagli, ma da quanto trapela la fotografia sarebbe impietosa: turni scoperti, personale in ferie, disorganizzazione diffusa, e soprattutto un pronto soccorso gestito quasi interamente da medici cubani — fatto non previsto dalle normative contrattuali.
Non è stata una semplice visita. È sembrato, a detta di chi conosce le dinamiche del potere calabrese, un vero e proprio sopralluogo “strategico”. Perché — e questo è il punto — De Salazar non può essere rimosso da un giorno all’altro. Non senza causa. Non senza un dossier.
Il problema si chiama De Salazar?
Per mesi la gestione di De Salazar ha sollevato più di una perplessità, sia dentro che fuori dalle corsie dell’Annunziata. Non bastavano le sue origini romane e quella lunga parentesi ai cimiteri capitolini per alimentare il sospetto che fosse stato spedito a Cosenza più come commissario liquidatore che come rilanciatore della sanità pubblica.
Le polemiche si sono sommate alle dimissioni eccellenti — il primario di Radiologia Zanolini, il direttore sanitario Zinno — e alla crescente irritazione di sigle sindacali e ambienti politici, come quella del consigliere regionale Carlo Guccione che non ha esitato a definirlo “il becchino dell’Annunziata”. Il soprannome è diventato una formula circolante nei corridoi.
Nel frattempo, De Salazar ha tentato di giocare d’anticipo: conferenze stampa, interviste, annunci su assunzioni e investimenti, il nome altisonante della chirurga Franca Melfi chiamata a Cosenza per lanciare la chirurgia robotica. Ma i numeri — quelli veri — hanno continuato a raccontare un’altra storia.
L’operazione “logoramento”
Chi conosce la macchina burocratica della sanità calabrese sa bene che nessun direttore generale viene rimosso senza aver prima costruito il clima adatto alla sua uscita. Il blitz di Calabrò e Petropulacos non è stato un caso isolato: è l’ultimo tassello di una strategia che sembra puntare al logoramento progressivo di De Salazar.
Una delegittimazione metodica, costruita passo dopo passo: prima l’isolamento politico e interno, poi la sottolineatura mediatica delle inefficienze (consulenze, buchi di bilancio, caos nei reparti), infine la raccolta di elementi da mettere sul tavolo per legittimare una revoca dell’incarico.
Nessuno ha interesse a far scoppiare un caso pubblico. Si procede a fari spenti, ma con passo deciso. La visita del venerdì non è stata un errore di comunicazione, bensì un segnale operativo. Un modo per far capire che il controllo è tornato nelle mani del vertice regionale, che la gestione dell’Annunziata non è più autonoma, e che si stanno preparando le condizioni per voltare pagina. Ma senza clamore. Senza colpi di scena. Con la compostezza apparente del “rimescolamento tecnico”.
Occhiuto guarda (e agisce)
Dietro tutto questo, c’è ovviamente Roberto Occhiuto, presidente della Regione e commissario alla sanità. Uomo che calibra con estrema precisione parole e silenzi. E che ha imparato, in questi anni, a muoversi con chirurgia politica nei dossier più delicati.
Non ha mai attaccato frontalmente De Salazar, ma non ha neanche mai preso pubblicamente le sue difese. Ha lasciato che i numeri parlassero. E adesso, pare che voglia parlare lui — non con dichiarazioni, ma con atti. E probabilmente, con una nuova nomina.
Perché se l’Annunziata deve diventare, come ripete Occhiuto, l’hub sanitario del Centro-Sud, allora non può restare in mano a chi è diventato — politicamente e simbolicamente — un problema più che una risorsa.