Nell’attuale contesto sanitario italiano, prenotare una visita medica o un esame diagnostico può trasformarsi in un’odissea fatta di lunghe attese e sfide impreviste.
L’accesso al servizio sanitario dovrebbe essere un diritto fondamentale applicato per ogni cittadino, ma spesso da principio Costituzionale e interesse della collettività, si trasforma e diventa un percorso tortuoso che mette a dura prova la pazienza e la salute stessa degli utenti. Altre volte è banalmente un bene di lusso riservato a pochi.
Le diseguaglianze nel sistema sanitario
Di fronte a lunghe liste d’attesa, la tentazione è quella di ricorrere a soluzioni private per ottenere un trattamento più rapido. Solo coloro che possono permettersi di pagare per il trattamento possono evitare le attese prolungate. E chi non se lo può permettere? Coloro i quali non posseggono le risorse finanziarie necessarie, si trovano così in una posizione di svantaggio e limitazione. E non ci sono soluzioni alternative.
Per scelta obbligata, 4,2 milioni di famiglie hanno tagliato le spese per la salute. Oltre 1,9 milioni di connazionali rinunciano a curarsi.
I dati sono stati pubblicati da fondazione Gimbe, che ha il fine di contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, con attività indipendente e senza scopo di lucro.
Anno 2022, la spesa sanitaria sostenuta direttamente dalle famiglie ha raggiunto quota 37 miliardi di euro: su un totale di oltre 25,2 milioni di famiglie, la media annuale di spesa corrisponde a 1.362 euro, in aumento rispetto ai 1.298,04 euro del 2021.
Le previsioni per il futuro prossimo sono tutt’altro che rosee. Secondo quanto sostiene Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione: «evidente che l’aumento del numero di famiglie che vivono sotto la soglia della povertà assoluta avrà un impatto residuale sulla spesa out-of-pocket, ma aumenterà la rinuncia alle cure, condizionando il peggioramento della salute e la riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese».
Commentando l’indagine della fondazione Gimbe, il presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze, Pietro Dattolo, afferma che «è un trend partito da lontano con politiche di privatizzazione del servizio sanitario nazionale. Ha cominciato l’allora presidente del consiglio Mario Monti, dicendo che il servizio avrebbe avuto bisogno del privato e poi, sempre peggio con un definanziamento progressivo, che adesso ha raggiunto i minimi storici. Un definanziamento che non può reggere, vista l’epidemiologia che sta cambiando, con persone sempre più anziane e con malattie croniche. Occorre che l’Italia investa come stanno facendo altri Paese europei». In merito alla questione se adottare il sistema della sanità privata, Dattolo specifica «non siamo contro il privato, siamo per un privato non in contrapposizione con il servizio sanitario nazionale: dove non arriva il pubblico, può intervenire il privato. Non può esserci concorrenza, altrimenti chi può si cura, chi non può rinuncia, perché le liste d’attesa sono lunghissime. Una situazione, inoltre, che si traduce in una maggiore spesa: se identifichiamo una patologia e la curiamo prontamente, spendiamo meno soldi che identificandola tra due anni, quando si sarà cronicizzata. Lo ripetiamo da anni e lo ripetono anche gli economisti: per ogni euro investito in sanità se ne guadagnano immediatamente quasi due».
La carenza di personale sanitario come concausa della difficoltà nell’accesso alle cure mediche
Tra le cause delle lunghe liste d’attesa e della difficoltà nell’accesso alle cure mediche, rientra la carenza di personale. E’ stato il periodo pandemico a mettere una lente di ingrandimento sulla necessità di soddisfare la mancanza. In oltre, al 2021 il 75,3% dei medici era in servizio da oltre 27 anni, mentre solo l’1,6% aveva iniziato a lavorare da meno di 6 anni, dati del ministero della Salute. Una inchiesta condotta da Il Sole 24 Ore rivela che mancano 4 mila medici nei pronto soccorso, 5mila medici di base e 60/70mila infermieri. Secondo i giornalisti, i dati sono destinati ad aggravarsi.