mercoledì, 14 Maggio 2025

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Fine della neutralità: è tempo di scegliere il campo

L’Italia è sotto attacco. I dazi USA colpiscono le sue economie fragili. E mentre la destra flirta con Trump, la sinistra si perde in illusioni pacifiste. Solo l’Europa può salvarci. Meloni si illude, Salvini tifa Trump e la sinistra si rifugia nel pacifismo. Ma intanto la Sardegna, la Calabria e la Maremma rischiano di affondare

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Dazi USA, guerra all’Europa: dall’economia reale alla crisi della politica italiana

Dal Pecorino Romano alle conserve di Catanzaro, passando per l’olio della Maremma e i pomodori del Salernitano: l’agroalimentare italiano è sotto attacco. A certificarlo è uno studio pubblicato dal Sole 24 Ore, che evidenzia con numeri precisi come le province più periferiche e specializzate del nostro Paese rischiano di essere messe in ginocchio dalla strategia economica del trumpismo. Con l’eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, gli Stati Uniti si preparano a colpire duramente il food europeo con una nuova ondata di dazi. E l’Italia è nel mirino.

La provincia di Grosseto, ad esempio, esporta il 71% del suo comparto agroalimentare proprio negli Stati Uniti. Nella Maremma toscana, è l’olio a essere a rischio tracollo. In Sardegna, le province di Sassari e Nuoro rischiano un colpo mortale: il Pecorino Romano esporta negli USA il 65% della produzione e non esiste un mercato alternativo che possa compensare. Il rischio è che, a fronte di prodotti americani più economici, l’industria locale venga spazzata via. Lo dice chiaramente lo studio della CIA-Agricoltori: se questi dazi venissero imposti, crollerebbero le esportazioni e molte filiere sarebbero irrimediabilmente danneggiate.

Il quadro si aggrava ulteriormente guardando al Sud: la provincia di Catanzaro, con la produzione di conserve, e quella di Trapani, per l’olio e il vino, risultano “particolarmente esposte verso gli Usa”, sempre secondo i dati della CIA. Il Salernitano, poi, guida la classifica nazionale con oltre 518 milioni di euro di export agroalimentare verso gli USA, seguito da Milano, Cuneo, Treviso, Parma. Sotto attacco non sono solo i grandi distretti, ma le province più piccole, meno diversificate, dove l’agricoltura di qualità è il cuore dell’economia.

Questa non è una divergenza commerciale. È una dichiarazione di guerra economicaall’Europa. E l’Italia, con le sue fragilità strutturali, rischia di essere il bersaglio più esposto.

Eppure, di fronte a una minaccia così concreta, la politica italiana appare come sempre inadeguata, ambigua o divisa tra infantilismi e nostalgieGiorgia Meloni ha avuto il coraggio – o la leggerezza – di dire che è “puerile” scegliere tra Europa e Stati Uniti. Ma che significa? Quando il tuo (ex?) alleato ti impone dazi, minaccia l’uscita dalla NATO, insinua che l’Europa debba “arrangiarsi”, allora la scelta non è ideologica, ma necessaria. Non ci si può difendere da soli contro una superpotenza aggressiva. L’unico spazio di protezione è l’Europa. Meloni lo sa, ma non ha il coraggio di dirlo. Resta in una posizione di sudditanza, sperando in un’alleanza con Trump che non esiste più.

Salvini, dal canto suo, ha già deciso. Sta con Trump, ieri con Putin, oggi con chiunque minacci l’Europa. Si è già schierato con il nemico dell’economia italiana. Non c’è da stupirsi: è l’uomo delle magliette russe, il nemico interno che finge di difendere l’Italia mentre la espone al peggio.

Ma attenzione: la sinistra italiana non se la passa meglio. Non si salva. Anzi. Una parte significativa, rappresentata da Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni, continua a ripetere la litania del pacifismo ideologico in un mondo che, piaccia o meno, è tornato a essere brutale. Parlano di pace mentre la Casa Bianca cambia linea in modo spudorato, flirtando con Putin, mollando l’Ucraina, lasciando all’Europa la responsabilità morale e strategica della difesa del continente.

Il Partito Democratico, poi, appare paralizzato in un limbo eterno: afferma che serve un esercito europeo, ma si rifugia nella scusa che “prima bisogna costruire l’Unione politica”. Peccato che, mentre loro aspettano l’illuminazione istituzionale, Francia e Inghilterra si muovono concretamente con i “volenterosi”, e l’Europa burocratica resta ostaggio dei veti ungheresi, slovacchi. Il Consiglio europeo è stato rinviato a giugno. E nel frattempo, chi protegge le imprese italiane?

Proprio in questo contesto, si inserisce un’altra occasione mancata da parte della segretaria del PD Elly Schlein: il congresso di Azione, il partito di Carlo Calenda, è stato snobbato senza una motivazione convincente. Certo, Calenda ha toni divisivi, le polemiche con Renzi, il disprezzo verso i 5 Stelle… Ma nel merito, quel congresso ha messo al centro temi seri, a partire dalla difesa comune europea, fino al rilancio di un pensiero liberale progressista, figlio della riflessione – troppo dimenticata – di Darendorf, che già nel 1989 veniva discusso nelle sezioni del vecchio PCI.

Che ci fosse Giorgia Meloni non è un motivo per disertare, anzi. Meloni ha cercato di accreditarsi come interlocutrice del mondo moderato. Una sfida da raccogliere, non da evitare. Il PD avrebbe dovuto esserci, dire la sua, marcare le differenze, non ritrarsi. Il confronto non è resa, è maturità politica. Continuare a ragionare per “nemici” e “campi”, come se fossimo ancora congelati nel Novecento, è uno degli errori che ha portato la sinistra all’irrilevanza.

Per costruire una dorsale progressista credibile, bisogna smettere di essere prigionieri del radicalismo parolaio e del complesso identitario. Non si può parlare la stessa lingua strategica di Salvini e poi rivendicare l’antifascismo come scudo morale. Se il mondo cambia, bisogna cambiare postura, analisi, scelte. Serve un fronte europeo solido, capace di difendere economia, territori e democrazia. E per farlo bisogna uscire dalle ipocrisie, dalle retoriche e dagli infantilismi.

Perché mentre la politica si racconta favole, i dazi arrivano davvero. E colpiscono il pecorino, l’olio, le conserve. Colpiscono Grosseto, Sassari, Catanzaro, Trapani. Colpiscono l’Italia reale. E se non la difendiamo ora, potremmo non avere una seconda possibilità.

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