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Gianni Versace il collezionista di mappamondi

Il 15 luglio del 1997 la tragica fine dello stilista che ha reso grande l'Italia. Il suo amore sconfinato per una Calabria che non ha ancora compreso cosa significa essere Gianni Versace in Italia, negli Stati Uniti e nel mondo. La sua scomparsa consegna il mito alla storia, coprendo quel vuoto generato dalla sua assenza fisica

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Gianni Versace collezionava mappamondi, di tutti i tipi e di tutte le epoche. Li custodiva gelosamente in una stanza, quasi a voler dominare il mondo. Il suo, però, non era un dominio di possesso quando spirituale. Una contemplazione del mondo e del suo fascino. A Gianni Versace il mondo gli appartiene anche se il mondo è uno spazio infinitamente piccolo per uno come lui.

Così il 15 luglio del 1997, quando il suo cuore generoso ha cessato di battere, uccidendo l’uomo si è consegnato il mito alla storia. Con la sua scomparsa il mito non ha perso il suo fascino e il fascino è tornato a governare sul mito.

Collezionava mappamondi, si è detto, perché viaggiare era il suo desiderio. Un continuo viaggiare verso un continuo ritorno. Esattamente ciò che il mappamondo simboleggia, un viaggio verso un qualsiasi dove alla ricerca di quel qualcosa che ha reso serafico Gianni Versace.

Collezionava i mappamondi perché amava viaggiare al punto da confessare ad un giornalista che se fosse nato nell’antichità gli sarebbe piaciuto far parte dell’equipaggio di Ulisse.

Un continuo peregrinare per mete insolite, India e altri luoghi che diventano essenziali per la sua vacanza. Esperienze di viaggio che lo riconducono sempre ai ricordi della sua infanzia, a quella Calabria avvolta dal profumo del mito.

Quei miti che rivivono in molte delle sue collezioni, perché l’uomo, l’artista, non può essere altro rispetto a quei miti che ha sempre inseguito, fino a farli diventare protagonisti del marchio italiano nel mondo. Gianni Versace il mondo lo ha conquistato davvero. Come ogni viaggiatore che ha il cuore di un’altra epoca anche il suo essere in giro per il mondo è stato un richiamo costante alla sua terra.

Un richiamo a quella stessa terra che lo porta a scrivere, nell’aprile del 1997, a pochi mesi dalla sua tragica fine, un atto d’amore alla Calabria che è diventato il testamento di un artista geniale la cui professione è sempre stata quella del «sarto», perché non si può essere altro rispetto a ciò a cui si appartiene.

«Gli dei non sono morti»

Un atto d’amore alla sua terra, per dire che «un odore mi sale alle narici, forte e pungente: l’odore del mare in burrasca. E quello che accompagnava l’estate della mia infanzia: rosmarino, resina, aghi di pino. Lo sentivo quando passeggiavo incantato nel bosco, seguendo la strada che porta al laghetto. C’era un sentore forte di terra, gli animali erano nascosti ma vicini. Il sole visto tra i rami sembrava oro».

E, ancora, «un colore mi torna in mente: quello del mare. Passavo ore a guardarlo: bastava un paesaggio di nuvole e il turchese diventava cupo e profondo, carico di un mistero che mi sembrava a portata di mano eppure non riuscivo a scoprire. La Calabria, dove sono nato, per me è profumo, luce abbagliante, ombre. Ma questa Calabria così forte e insieme così dolce, quando la temperatura continuava a salire, ci offriva anche il rifugio della montagna. Andavamo in un paesino vicino a Gambarie d’Aspromonte, in quell’area sempre fresca che porta con sé il ricordo del mare. Il bosco era selvaggio, l’oscurità sotto gli alberi fitta. Emancipato dai genitori, ormai studente che si perdeva nelle sue fantasie, mi rifugiavano ogni tanto a Scilla per ritrovare Ulisse, in una luce che a volte tinge tutto di viola».

Il mondo la sua dimora

Collezionava i mappamondi, perché il mondo era la sua dimora, ma il mondo è uno spazio infinitamente piccolo per uno come lui e, dunque, la sua dimora è quella dove risiedono gli dei. Perché, per dirla con le sue parole, «gli dei non sono morti», e oggi si può immaginare di ritrovare Gianni Versace nell’olimpo di quei miti che hanno reso la Calabria una terra magica. Una terra ricca e potente con la sua millenaria cultura. Gianni Versace collezionava mappamondi per partire e ritornare, con il richiamo, ovunque si trovasse, a quella terra a lui tanto cara.

Un amore sconfinato, il suo, anche se, tristemente, bisogna prendere atto che la città di Reggio e la Calabria non hanno ancora compreso cosa significa essere Gianni Versace in Italia, negli Stati Uniti e nel mondo. Così mentre la Calabria non comprende lui si erge maestoso e fiero al fianco di quelle divinità che solo di rado scendono sulla terra.

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