Altro che svolta epocale. Google ha ufficialmente fatto dietrofront sulla tanto annunciata eliminazione dei cookie di terze parti dal suo browser Chrome, lo strumento più usato al mondo per navigare in rete. È una retromarcia che segna la fine di un percorso iniziato nel 2020, quando il colosso di Mountain View aveva promesso un cambio radicale nel modo di tracciare gli utenti online.
L’obiettivo dichiarato era quello di tutelare la privacy degli utenti e abbandonare gradualmente i “biscotti digitali”, ovvero quei file che permettono agli inserzionisti di raccogliere dati sulle abitudini di navigazione e profilare gli utenti a fini pubblicitari.
Il progetto Privacy Sandbox e le critiche
Per sostituire i cookie, Google aveva proposto il sistema Privacy Sandbox, una tecnologia pensata per offrire pubblicità mirate senza rivelare i dati personali individuali. Ma il progetto non ha convinto fino in fondo.
Editori e operatori del settore pubblicitario hanno subito criticato la nuova soluzione, sostenendo che avrebbe minato i modelli di business basati sulla pubblicità personalizzata, già messi sotto pressione da altri cambiamenti legati alla privacy e alla gestione dei dati online.
La svolta di luglio 2024
Dopo anni di rinvii, a luglio 2024 Google aveva già iniziato ad ammorbidire la propria posizione, annunciando che i cookie di terze parti non sarebbero stati bloccati di default, ma lasciando agli utenti la possibilità di disattivarli manualmente. Una posizione che, di fatto, lascia le cose quasi come sono sempre state.
L’annuncio di oggi conferma che la promessa del blocco totale è stata ufficialmente accantonata. In sostanza, Chrome continuerà a supportare i cookie di terze parti, almeno per ora, segnando una vittoria per il settore dell’advertising online, ma una battuta d’arresto per chi sperava in una rete più rispettosa della privacy.
Un equilibrio ancora lontano
Il caso dimostra quanto sia difficile trovare un punto di equilibrio tra esigenze commerciali, privacy e innovazione. Da un lato, gli utenti chiedono maggiore controllo sui propri dati. Dall’altro, editori e piattaforme digitali si reggono su sistemi di monetizzazione che si basano proprio sulla raccolta e analisi di quelle informazioni.
La sfida resta aperta, ma una cosa è certa: il futuro del web è ancora strettamente legato ai suoi vecchi “biscotti”.