domenica, 26 Gennaio 2025

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Gratteri e le menzogne in TV: l’affondo di Caiazza scuote il dibattito sulla giustizia

Il procuratore di Napoli accusato di disinformazione sull’autonomia della magistratura: “Una tecnica sofisticata per fare propaganda, senza contraddittorio nei salotti televisivi”

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“Obiettivo della separazione delle carriere è la sottoposizione della magistratura al potere esecutivo.”
Questa è la dichiarazione rilasciata dal Procuratore di Napoli Nicola Gratteri durante un’ospitata televisiva a Otto e Mezzo, condotto da Lilli Gruber su La7. Un’affermazione pesante, ma che ha suscitato una risposta altrettanto dura e argomentata da parte dell’avvocato Giandomenico Caiazza, già presidente dell’Unione Camere Penali.

Caiazza, attraverso un post su Facebook, ha smontato la dichiarazione del magistrato, definendola “una menzogna grossolana”. Riporta infatti testualmente l’articolo 104 della Costituzione nella versione prevista dalla riforma sulla separazione delle carriere, che recita:

“La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.”

Un passaggio che, secondo l’avvocato, evidenzia l’infondatezza delle parole di Gratteri, accusato di utilizzare una “tecnica sofisticata e sistematica di disinformazione” attraverso i talk show. Caiazza prosegue nel denunciare il meccanismo mediatico che consente a figure pubbliche con un’enorme credibilità, come Gratteri, di fare affermazioni propagandistiche senza essere contraddette da interlocutori qualificati.

“Una vergogna,” conclude Caiazza, stigmatizzando un sistema televisivo che lascia spazio a dichiarazioni imprecise, senza alcuna possibilità di replica o confronto.

Ma Gratteri non si è fermato. Nella serata successiva, durante la trasmissione Dimartedì condotta da Giovanni Floris, ha ulteriormente proseguito nelle sue esternazioni, mantenendo lo stesso tono polemico nei confronti della riforma della giustizia.

Il silenzio complice dei giornalisti

Un aspetto altrettanto inquietante è il ruolo assunto dai giornalisti dei talk show televisivi in queste apparizioni. Salotti noti per favorire il contraddittorio – come quello di Giovanni Floris a Dimartedì, dove regolarmente si assistono a scontri tra ospiti su temi politici, economici e sociali – sembrano trasformarsi in veri e propri palcoscenici per il monologo di Gratteri.

Mentre ad altri ospiti viene chiesto di confrontarsi con opinioni contrapposte o di rispondere a domande incalzanti, il procuratore di Napoli gode di uno spazio in cui è libero di esprimersi senza interruzioni. Nessuno, nemmeno Floris, interviene per chiedere chiarimenti o per mettere in discussione le sue affermazioni, anche quando palesemente inesatte o tendenziose. È un trattamento preferenziale che non solo tradisce il principio di equità nel dibattito televisivo, ma contribuisce a dare credibilità a dichiarazioni che, come dimostra Caiazza, possono essere profondamente fuorvianti.

L’atteggiamento deferente di giornalisti come Lilli Gruber e Giovanni Floris, che scelgono di non approfondire o mettere in discussione quanto affermato da Gratteri, è preoccupante. Si tratta di una resa acritica che trasforma i talk show in megafoni unidirezionali, privi di quel pluralismo che dovrebbe caratterizzare un’informazione responsabile.

Una doppia misura?

Mentre il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati, Stefano Musolino, viene richiamato per le sue dichiarazioni critiche verso il governo, le esternazioni di Gratteri – spesso molto aggressive nei confronti di ministri, ex ministri e riforme legislative – continuano a passare sotto silenzio. Si tratta di una discrepanza evidente, che mette in discussione l’equilibrio istituzionale e il rispetto per il pluralismo delle opinioni.

Il rischio del populismo giudiziario

Non è la prima volta che Nicola Gratteri viene accusato di utilizzare il suo ruolo pubblico per influenzare il dibattito politico attraverso affermazioni mediatiche discutibili. La sua figura, già ampiamente criticata per il ricorso a una giustizia spettacolarizzata, solleva interrogativi sul confine tra il necessario rigore istituzionale e un populismo giudiziario che rischia di deformare la percezione dell’opinione pubblica.

Questa vicenda, portata alla ribalta dall’intervento dell’avvocato Caiazza, impone una riflessione seria sul ruolo dei magistrati nel dibattito pubblico e sull’uso dei media come strumento di pressione politica. Nell’epoca della disinformazione, ogni parola conta. E anche ogni silenzio.

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