giovedì, 1 Maggio 2025

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Gratteri e le sue bufale: le menzogne in prima serata e il coraggio dei numeri di Antonucci

Il procuratore di Napoli si rifugia nei talk show di La7 per smentire dati inoppugnabili sulle ingiuste detenzioni a Catanzaro. Ma Il Foglio e Ermes Antonucci lo inchiodano ai fatti. La Calabria ne paga ancora il prezzo, tra aziende distrutte e vite rovinate

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Nicola Gratteri continua il suo tour mediatico fatto di monologhi e moralismi da salotto. È salito di nuovo sul pulpito, questa volta a diMartedì su La7, dove – come da copione – nessuno si è azzardato a porre una domanda vera, una di quelle che ti inchiodano ai fatti. A Gratteri è stato consentito di attaccare Il Foglio e Ermes Antonucci per aver pubblicato i dati sulle ingiuste detenzioni nel distretto giudiziario di Catanzaro, distretto che per circa sette anni ha avuto come protagonista Nicola Gratteri come procuratore della Repubblica. 

Ma i fatti, stavolta, hanno la firma rigorosa di Ermes Antonucci, penna autorevole de Il Foglio, che con numeri alla mano ha demolito una volta per tutte la narrazione dell’“uomo solo contro la ‘ndrangheta”.

Antonucci ha pubblicato dati ufficiali: tra il 2018 e il 2024, su un totale di 220 milioni spesi dallo Stato per ingiuste detenzioni, quasi 80 milioni (35% del totale nazionale) sono stati pagati per vicende che ricadono nella giurisdizione della Procura di Catanzaro. E non ci sono dubbi: molte di queste operazioni portano la firma di Gratteri.

Il procuratore, oggi a Napoli, ha provato a reagire attaccando Il Foglio, accusandolo falsamente di avere manipolato i dati. Ha detto, testuale, che “non c’è una sola ingiusta detenzione attribuibile a Nicola Gratteri”. Una frase che da sola dovrebbe bastare a sollevare un’indagine disciplinare. Perché è semplicemente falsa.

Ecco allora che Antonucci, con lo stesso stile impeccabile e chirurgico che lo contraddistingue, è tornato ieri a rispondere su Il Foglio (pagina 1-5), con un pezzo che va letto e diffuso parola per parola. Racconta la storia emblematica di Francesco Zito, imprenditore vinicolo calabrese, arrestato nell’ambito della maxi operazione “Stige” del 2018, sbandierata come “la più grande” della storia contro la ‘ndrangheta. Zito ha fatto 26 giorni in carcere, poi l’assoluzione piena: “perché il fatto non sussiste”. Lo Stato, dopo anni di calvario, ha riconosciuto a Zito un indennizzo di quasi 48mila euro.

Ma non è solo Zito. Il Foglio documenta un fallimento su vasta scala, dove le indagini costruite da Gratteri si sono spesso tradotte in macerie: vite umane distrutte, aziende cancellate, e nessuna condanna. Una giustizia da operetta che costa milioni e produce solo clamore mediatico.

La conferenza stampa di Nicola Gratteri, il giorno dell’operazione Stige, quando fu arrestato, Francesco Zito

Nel frattempo, in Calabria, il cerchio magico dei cronisti lacchè – quelli che vivono in simbiosi con il procuratore, sempre pronti a rilanciare la sua parola come vangelo – continua a ripetere pedissequamente la linea dell’ex procuratore di Catanzaro. Hanno già provato a smentire i dati del Foglio, ancora prima di Gratteri. Siti locali, mezzi d’informazione (chiamiamoli così) tenuti in piedi per amplificare il verbo del PM. La smentita era già pronta, il copione già scritto.

Poi c’è La7, il santuario del giornalismo radical chic, quello che da trent’anni avvelena la sinistra italiana.

Chi scrive si è formato culturalmente, professionalmente e politicamente in quel mondo. E dunque parla – anzi scrive – con cognizione di causa. È proprio questo universo radical chic, col suo linguaggio autocelebrativo e la sua retorica autoreferenziale, che ha letteralmente immobilizzato la sinistra italiana, sostituendo l’impegno sociale pragmatico con una forma di giustizialismo moralista, parolaio, sterile.

Una sinistra da salotto – per citare la definizione data anni fa a Bertinotti: “il parolaio rosso” – che ha rimpiazzato la concretezza dell’azione politica con una postura etica tanto comoda quanto inutile. È una deviazione iniziata con Tangentopoli, quando un pezzo della sinistra – illudendosi di conquistare il consenso attraverso una visione etico-moralistica della politica – ha abbandonato le lotte vere, quelle per la giustizia sociale, il lavoro, i diritti.

Quel mondo ha partorito un’ideologia incapace di liberare, che ha prodotto eroi di cartapesta e mostri mediatici come Di Maio, Di Battista, i grillini da palcoscenico. E i loro padrini culturali erano e sono quegli stessi giornalisti radical chic, onnipresenti nei talk show più vuoti e autoindulgenti d’Italia.

Una corrente figlia dell’ingraismo – quella linea movimentista e inconcludente che ha paralizzato il PCI fino al crollo del muro di Berlino – e che di fatto si è impadronita ed è diventata egemone culturalmente di quello che ne è venuto dopo fino al partito democratico. Una sinistra che nulla ha a che vedere con la sinistra libertaria e popolare. Niente a che vedere con un’altra tradizione: quella migliorista, quella di Giorgio Amendola, di Giorgio Napolitano. Gli unici, tra i grandi del PCI, che compresero davvero il valore del compromesso, del riformismo, della fatica quotidiana nelle istituzioni.

I miglioristi sono stati gli unici a guidare il sindacato con realismo, a portare le lotte bracciantili nel Sud alla conquista della terra, a scrivere lo Statuto dei lavoratori, a costruire il sistema sanitario nazionale. Sono loro gli ultimi rappresentanti di una sinistra che non si nutriva di moralismi ma di conquiste vere. E che oggi, ironia della storia, è demonizzata da una banda di cialtroni pseudo-rivoluzionari da salotto, i quali impediscono da trent’anni a questa sinistra di vincere le elezioni, proprio perché priva di qualsiasi credibilità.

Ecco, è dentro questo pantano che si colloca il pensiero unico veicolato ogni sera da La7, con la sua melassa pseudo-intellettuale che ha occupato la prima serata trasformandola in una vetrina di conformismo giudiziario. Un giornalismo che si erge a eroe contro i ministri in carica ma non riesce – o non vuole – porre una sola domanda scomoda al procuratore Gratteri.

Eppure, ci sarebbe da chiedere. Da chiedere come sia possibile che centinaia di persone perbene siano state travolte da inchieste mediatiche finite in nulla. Da chiedere perché 80 milioni di euro siano stati spesi in indennizzi per ingiuste detenzioni nel solo distretto di Catanzaro. Da chiedere perché il diritto, in Calabria, sia stato trasformato in un campo di battaglia dove l’innocenza è un ostacolo.

Ma non lo faranno. Perché quel procuratore – che non è un eroe antimafia, ma un uomo che ha calpestato lo Stato di diritto e le garanzie costituzionali – è ancora oggi protetto da questo sistema mediatico intimidito, prono, imbevuto di paura e reverenza.

Ecco perché oggi, l’unica voce riformista, lucida, rigorosa, la ritroviamo in firme come quella di Ermes Antonucci su Il Foglio, del direttore Claudio Cerasa o di Antonio Polito del Corriere della Sera e ancora quella di Aldo Torchiaro e Tiziana Maiolo sul Riformista, di Alessandro Barbano de’ L’Altra Voce. E tanti altri. Sono loro, oggi, gli ultimi testimoni di un pensiero riformista libertario e liberale che pensa, che riflette, che distingue, e che non ha paura di sfidare il populismo giudiziario. Il pensiero libertario vero, quello che difende i diritti, anche dei colpevoli, perché senza garanzie per tutti non c’è libertà per nessuno.

E’ su la7 e in quei talk condotti da quel giornalismo radical chic, dove uno come Gratteri può dire tutto e il contrario di tutto senza che nessuno osi contraddirlo. 

Sì, sono coloro che erroneamente sono considerati gli eroi culturali della resistenza al “neofascismo“ i quali nei loro talk sono implacabili con gli esponenti di governo e della destra italiana e pavidi con i cattivi magistrati come Nicola Gratteri. È il salotto buono del moralismo peloso e del garantismo a targhe alterne. Il conduttore Formigli, esempio perfetto di vuoto culturale travestito da impegno civile, gli porge il microfono e tace. Cairo ringrazia. Sarà un caso che è napoletano, e conosce bene il sistema. In perfetto stile calabrese, La7 è diventata l’altoparlante del procuratore.

Ieri su ReStart, su Rai3 Gratteri ha detto che “la politica sta legiferando per non essere indagata”. L’ennesima sparata, l’ennesimo esercizio di egocentrismo narcisistico. Roba da far arrossire il più attrezzato dei psichiatri. E intanto nessuno – nemmeno uno – gli ha chiesto conto degli 80 milioni di euro spesi per arresti sbagliati, della valanga di assoluzioni, dei tribunali pieni di fascicoli che si sgonfiano come palloni bucati.

La Calabria è il teatro di questo disastro. Nelle aule giudiziarie si respira il fallimento delle grandi operazioni gratteriane. Quelle che hanno devastato intere famiglie, chiuso aziende, messo in ginocchio imprenditori innocenti. Tutto per un titolo in prima pagina. E guai a chi osa dissentire: i cronisti giudiziari di casa nostra, quelli che non riescono a scrivere un pezzo senza l’ok del PM di turno, sono lì a vigilare.

È ora di rompere il silenzio. Di leggere, e far leggere, il lavoro onesto e coraggioso di Ermes Antonucci. Di dire che Nicola Gratteri, oggi procuratore di Napoli, è un uomo che mente. Mente sapendo di mentire. E lo fa nel silenzio complice di una stampa che ha perso l’anima riformista e si è consegnata, senza vergogna, al populismo giudiziario.

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