A reti unificate, più che pluralismo dell’informazione, sembra di assistere a una fiction seriale, in cui il protagonista è sempre lui: Nicola Gratteri. L’ex procuratore di Catanzaro, oggi a capo della Procura di Napoli, ha trovato nella rete La7 e nei suoi derivati (compresi gli spin-off di Rai 3) una ribalta permanente. Gramellini, Gruber, Floris, Formigli, e ieri persino una doppietta tra Rai e Cairo-TV: più che interviste, sembrano messinscene devotamente impostate per non disturbare il manovratore.
Il copione? Sempre lo stesso. Parla Gratteri, si ascolta in religioso silenzio. Guai a fare domande vere, figuriamoci a evocare i dati sulle ingiuste detenzioni del suo ex distretto di Catanzaro. Meglio rimanere in silenzio, mentre l’eroe dell’antimafia da prima serata spazia dal codice penale all’urbanistica, dai rapporti col governo alle politiche fiscali. E se un giorno lo vedremo pontificare pure su cucina molecolare e fisica quantistica, non ci sorprenderemo.

Ma ieri sera è accaduto qualcosa di straordinario, una vera chicca televisiva. Alla domanda secca su Vincenzo De Luca, governatore campano fresco di bocciatura da parte della Consulta sul terzo mandato, Gratteri ha lasciato di sasso perfino i manettari professionisti. Antonio Padellaro, Gramellini e compagnia bella, pronti con l’occhio lucido a cogliere il sospetto d’accusa, sono rimasti pietrificati: Gratteri non solo non ha criticato De Luca, lo ha elogiato.
La motivazione? Semplice e disarmante: “Mi ha dato 5 milioni per le demolizioni a Napoli”. Capito? Basta una telefonata del procuratore, e il presidente della Regione apre i cordoni della borsa. I sindaci fanno battute sui soldi che non ci sono mai per nulla, ma per Gratteri saltano fuori come funghi. Un gesto che, secondo l’ex procuratore di Catanzaro, lo promuove politicamente. Altro che codici, legalità e neutralità istituzionale.
E così, il governatore che ha accolto Gratteri “con entusiasmo” diventa un uomo “concreto”, che esegue prontamente gli ordini del verbo antimafia. Una narrazione surreale, condita dall’orgoglio per aver demolito palazzine abusive come se fossimo in guerra col Vesuvio, mentre nei tribunali le sentenze si ribaltano e le detenzioni si rivelano ingiuste. A Napoli, evidentemente, il procuratore non indaga più: telefona, ordina, riceve fondi e detta la linea politica.
Ma nessuno, tra quei giornalisti abituati a bacchettare Meloni, Salvini e compagnia cantante, ha avuto il coraggio di dire: “Scusi, ma non è un po’ fuori ruolo, dottor Gratteri?”.

Il metro di giudizio politico non è più il merito, la trasparenza, la competenza. È la subalternità al verbo del procuratore. Oliverio, che da presidente della Calabria osò mantenere la schiena dritta, fu travolto da inchieste poi finite nel nulla. Occhiuto, che da tre anni guida la Calabria come un supermercato in svendita, non ha mai ricevuto una carezza investigativa. De Luca, adesso, è promosso sul campo, perché disponibile a versare 5 milioni, magari presi da qualche capitolo invisibile del bilancio.
Insomma, il problema non è più solo la giustizia, ma la rappresentazione della giustizia. È la distorsione culturale di un Paese che ha sostituito il garantismo con l’idolatria del procuratore-star. E a pagare il conto, come sempre, sono i cittadini. Quelli che non hanno accesso al talk show. Quelli che, al massimo, ricevono una notifica di custodia cautelare. Magari ingiusta.
Ma che importa, se la sera c’è Gratteri in TV.