Il Brigadiere Falduto Pasquale,: L’uomo giusto al posto giusto? Dubbi sull’opportunità di un incarico delicato in territori “sensibili”
Nel cuore delle attività investigative più delicate del distretto giudiziario di Catanzaro, spicca il nome del brigadiere Pasquale Falduto, figura già nota per il suo ruolo nell’operazione “Alibante”, una delle più articolate attività condotte con l’ausilio del famigerato trojan. Ed è proprio attorno a questo strumento invasivo, tanto potente quanto delicato, che emergono le prime ombre sull’operato del militare.
Ma qui, prossimamente, andremo nel dettaglio.
Falduto, infatti, risulterebbe essere uno dei soggetti incaricati della gestione tecnica del trojan installato sul cellulare del presunto boss finito al centro delle indagini. In particolare, il brigadiere sarebbe stato tra coloro che, con facoltà ampia, decidevano se una conversazione captata fosse da considerare “rilevante” o meno ai fini dell’indagine. Una scelta che, a rigor di logica e di legge, dovrebbe dipendere dall’attinenza con i reati contestati, non da valutazioni personali o, peggio ancora, arbitrarie.
A lui è spettato anche monitorare le conversazioni del nostro Direttore Pasquale Motta, all’ora messo sotto controllo per circa 40 giorni. Emblematico il caso di una conversazione intercorsa tra il Direttore Motta, all’epoca Direttore del Network di LaC, ed una sua collaboratrice, la quale riferisce di avergli fissato l’appuntamento con l’allora Procuratore della Repubblica di Paola (CS).
Quindi, in qualità di Direttore di una testata giornalistica, era facilmente intuibile che si trattasse di un semplice incontro di cortesia, che sarebbe stata invece bollata come “rilevante”.
Un atto che lascia perplessi e solleva interrogativi sul metodo di valutazione adottato dal militare, che sembrerebbe seguire logiche più personali che investigative.
Precedenti operativi e parentele ingombranti
Ma i dubbi non si fermano qui. Il brigadiere Falduto non è nuovo alle annotazioni di servizio “facili”. Basti ricordare il caso dell’appuntato Roberto Gidari, destinatario di una relazione di servizio da parte dello stesso Falduto, relazione che diede origine ad un procedimento penale nei suoi confronti. Anche lì, conclusosi con una piena assoluzione.
Ma resta la domanda: può un militare con simili precedenti operativi essere ritenuto al di sopra di ogni sospetto, nel senso etico e istituzionale del termine?
A rendere ancora più complesso il quadro è il contesto familiare del brigadiere. Non vogliamo, come nostra consuetudine, cedere a facili colpevolismi o scivolare nel giustizialismo, ma l’opportunità è questione altra, e forse più importante.
Nel 2001, infatti, un cugino di Falduto fu coinvolto in un’inchiesta della DDA di Catanzaro per reati di stampo mafioso, anche se poi assolto. Più recentemente, nel luglio 2024, lo zio del militare è stato arrestato dalla DDA di Reggio Calabria per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga: sostanze stupefacenti destinate, secondo l’accusa, alle consorterie criminali di Reggio e Catanzaro.
L’uomo si trova oggi agli arresti domiciliari, proprio a Lamezia Terme.
Ed è proprio qui che si pone la vera domanda: è opportuno che un militare con legami familiari, seppur indiretti, con soggetti coinvolti in gravi reati possa continuare a svolgere funzioni investigative in un territorio così delicato?
Non è forse il principio di imparzialità – non solo reale, ma anche percepita – a dover guidare l’assegnazione degli incarichi nelle forze dell’ordine?
La nostra è una riflessione di merito, non un atto d’accusa. La giustizia ha già fatto il suo corso nei confronti dei familiari citati, ed è giusto ribadire che Falduto non risulta indagato, né imputato, né tantomeno colpevole di alcun reato. Tuttavia, sul piano etico e istituzionale, ci chiediamo se sia sensato – o meglio, opportuno – che un militare con parentele così controverse operi in territori dove la criminalità organizzata rappresenta una piaga profonda e difficile da estirpare.
La trasparenza, la terzietà e l’apparente neutralità delle forze dell’ordine sono pilastri irrinunciabili in uno Stato di diritto. Per questo, crediamo sia giusto chiedere chiarimenti e avviare una seria riflessione interna alle istituzioni.
Non per condannare, ma per garantire.