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Il caso Almasri, il disastro di Stato: tra dilettantismo, giochi di potere e ipocrisie bipartisan

Una crisi gestita con approssimazione e opacità che ha messo a nudo le contraddizioni del governo Meloni, l’ubiquità della magistratura e le ipocrisie dell’opposizione. Tra gaffe diplomatiche e dichiarazioni avventate, il Ministro degli Esteri Tajani si conferma inadeguato, aggravando il caos politico e istituzionale. Il pasticcio sull’arresto e il rilascio di Almasri segna un punto di non ritorno per la credibilità dell’Italia sullo scenario internazionale

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Il caso Almasri e il dilettantismo di governo: tra caos e ipocrisie bipartisan

L’ultimo atto del teatrino politico italiano si sta consumando sotto i riflettori della vicenda Almasri. Una storia che ha messo in luce, ancora una volta, il livello imbarazzante di approssimazione con cui l’attuale governo gestisce le crisi. Definirli dilettanti allo sbaraglio è ormai un eufemismo, considerando la raffica di errori che si sono accumulati in pochi giorni.

La premier Giorgia Meloni, nel goffo tentativo di prendere in mano la narrazione, ha esordito con un video in cui annunciava di essere indagata, salvo poi scoprire che non esisteva alcuna indagine. Un pasticcio comunicativo senza precedenti, che ha scatenato la reazione scomposta di tutta la macchina governativa. Il ministro degli Esteri Tajani, a sua volta, ha rincarato la dose con dichiarazioni avventate sulla Corte penale internazionale, un passo falso che ha ulteriormente complicato una gestione già di per sé fallimentare.

Il peso della partita internazionale: la saldatura anti-italiana e le avvisaglie ignorate

Il dilettantismo italiano non si consuma solo nel cortocircuito interno, ma anche nella totale cecità rispetto ai segnali provenienti dall’estero. Da tempo, Vincenzo Speziali – politologo democristiano, nostro editorialista con solide fonti e relazioni di prima mano – lancia allarmi sulla crescente saldatura tra l’asse franco-tedesco e le componenti cristiano-libanesi contro la premiership italiana e alcuni suoi ministri, Tajani in primis. Un intreccio che si muove con continui colloqui e relazioni che hanno già prodotto effetti concreti e che continuano a svilupparsi sotto traccia.

In questo scenario internazionale, emerge una figura chiave di cui il nostro governo sembra ignorare il ruolo: Nawaf Salam, attuale Primo Ministro libanese e Presidente della Corte Penale Internazionale (CPI) in aspettativa. Non si è dimesso dalla guida della Corte, bensì ha assunto un incarico di governo mantenendo un piede nell’altro contesto. E qui arriviamo al punto: quando Tajani afferma con leggerezza che “bisognerebbe aprire un’inchiesta sulla CPI”, compie un passo falso diplomatico colossale. Non solo ignora il ruolo di Salam, ma rischia di creare un incidente diplomatico con un Paese dove l’Italia ha interessi strategici fondamentali, tra cui concessioni ENI, presenza militare ONU e tutela dei connazionali.

E mentre  in Italia si consumava questo tragicomico balletto, all’estero la gestione dilettantesca della crisi ha lasciato il segno. Il Libano ha manifestato un crescente malumore nei confronti dell’Italia, come dimostra l’analisi riportata dal Il Riformista Online. Un governo che si dice sovranista e attento al prestigio internazionale del Paese non può permettersi di dilapidare così il proprio peso diplomatico. Ma la verità è che dietro le parole d’ordine del patriottismo e della fermezza si nasconde un vuoto strategico allarmante.

Il paradosso dello scontro tra Stato e Magistratura

Se la gestione politica della crisi è stata un disastro, il fronte istituzionale ha aggiunto un ulteriore elemento di caos. Perché la vera anomalia di questa vicenda non sta solo nell’incompetenza del governo, ma anche nell’atteggiamento paradossale della magistratura.

La richiesta del Procuratore di Roma Lo Voi ai Servizi segreti di fornire una relazione sul Capo di Gabinetto della premier è stata accolta con una risposta ufficiale, che – lo ribadiamo – non era dovuta. I Servizi segreti, in virtù della loro funzione, non sono tenuti a cooperare in chiaro con la magistratura. Hanno poteri e prerogative che li esentano dal rispetto di certi obblighi normativi, proprio per la natura del loro lavoro. Eppure, la Procura ha ottenuto la relazione e, invece di gestirla con il dovuto riserbo, ha di fatto permesso che venisse diffusa, trasformando un atto di cortesia in un elemento di scontro istituzionale.

Ora, in quale Paese al mondo i Servizi segreti si ritrovano costretti a sporgere esposto contro un Procuratore della Repubblica, per di più della Capitale, dopo avergli fornito un documento che non erano tenuti a dare? La risposta è semplice: in nessun Paese serio. Questo episodio è solo l’ennesimo segnale di una patologia da “Fine Impero”, una crisi istituzionale sempre più evidente per il governo Meloni, che continua a muoversi con goffaggine nel tentativo di difendersi da attacchi su più fronti.

A confermare la gravità della situazione, arrivano anche le parole di Cuno Tarfusser, ex magistrato della Corte Penale Internazionale dell’Aia, che denuncia senza mezzi termini la gestione caotica e politicamente influenzata della vicenda Almasri. Secondo Tarfusser, l’Italia ha violato il proprio obbligo di cooperazione con la CPI, permettendo il rilascio di un presunto criminale di guerra sulla base di motivazioni giuridicamente inconsistenti. L’ex magistrato dell’Aia accusa apertamente la magistratura italiana di essersi piegata con eccessiva sollecitudine alle pressioni politiche, ignorando le norme dello Statuto di Roma che obbligano l’Italia a eseguire i mandati della Corte. Questo, secondo Tarfusser, ha creato un precedente pericoloso, che potrebbe compromettere in futuro l’applicazione di qualsiasi altro mandato d’arresto della CPI in Italia. Un colpo durissimo alla credibilità del Paese e alla sua affidabilità internazionale.

L’ipocrisia dell’opposizione e la strumentalizzazione dei Servizi segreti

E se il governo si dimostra inadeguato, l’opposizione non è da meno. Il Partito Democratico urla allo scandalo per il coinvolgimento dei Servizi segreti, dimenticando due dettagli fondamentali.

Primo: è stato proprio il PD a firmare gli accordi con la Libia quando era al governo. Oggi, per convenienza politica, si scandalizza per gli stessi meccanismi che ha contribuito a costruire.

Secondo: i Servizi segreti non sono un’entità sovversiva dello Stato, ma un pezzo fondamentale della sua sicurezza. Non possono essere trattati come uno strumento da attaccare quando non fa comodo e da utilizzare quando conviene. In uno Stato serio, l’interesse nazionale dovrebbe essere un principio condiviso da tutte le forze politiche, indipendentemente dalle appartenenze. Ma in Italia, lo scontro per fazioni ha ormai annebbiato ogni senso di responsabilità istituzionale.

Una classe dirigente in caduta libera

L’epilogo di questa vicenda non è solo il fallimento del governo Meloni, ma il crollo di un’intera classe dirigente, incapace di gestire lo Stato con la dovuta competenza. Il governo si muove in maniera dilettantesca, l’opposizione cavalca l’ipocrisia, la magistratura assume un ruolo sempre più politico e i Servizi segreti finiscono in un vortice di strumentalizzazioni.

Ci troviamo di fronte a un livello istituzionale che rasenta il suolo, dove le regole del gioco vengono riscritte ogni giorno a seconda delle convenienze. Il problema non è più solo la Meloni, ma un sistema che si sta avvitando su sé stesso, mettendo a rischio la tenuta stessa dello Stato. Quanto ancora potrà reggere questo equilibrio precario? E soprattutto, chi pagherà il prezzo finale di questa guerra tra bande?

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