Di Vincenzo Speziali
Chi viene dal mondo della politica, quella vera, quella ideale, quella vivente, quella ideologica, spesso oggi viene tacciato come un vecchio arnese.
La politica che intendo io, quella novecentesca, utilizzava le armi proprie della politica, ovverosia il confronto dialettico, la matematica parlamentare, l’ostruzionismo in aula, oppure la confrontazione e la sperimentazione di nuove formule.
Sul fondo, però, rimaneva sempre il rispetto sacro per l’avversario, che era appunto avversario, non nemico.
Poi arrivò l’infausto 1992, e qui, purtroppo, devo aprire una parentesi.
Io sono testimone di quanto paventò la buonanima di Gerardo Chiaromonte (autorevole dirigente del PCI), quando scappò da Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica, nel novembre del 1991, e gli disse in mia presenza, e in presenza dell’Ambasciatore Ludovico Ortona, Capo dell’Ufficio stampa del Quirinale:
“Francesco, attenzione: alcuni settori del mio partito(PCI/PDS) sono impazziti. Vogliono perseguire la via giudiziaria per dare la spallata finale al sistema democristiano.”
E aggiunse:
“La via giudiziaria altro non è che un golpe. E il golpe, alla fine, può investire chiunque.”
Perché, dopo aver arrestato politici, dirigenti d’azienda, imprenditori, e talvolta giornalisti che davano notizie scomode, o che semplicemente venivano etichettati come tali, alla fine anche i magistrati hanno cominciato ad arrestarsi tra di loro.
La vicenda di Luca Palamara — che per un sottile dettaglio non è finito in galera — sta lì tutta a dimostrarla, questa triste e imberbe colonna infame in cui l’Italia è piombata, quasi fosse condannata a un girone dell’inferno dantesco.
Ho letto con attenzione le dichiarazioni di molti che sono vittime della giustizia, come con altrettanta attenzione ho letto le tristi e coraggiose parole del direttore Pasquale Motta, a cui sono notoriamente legato da sincera amicizia e anche da un forte stato di collaborazione, che non nego — e anzi di cui mi vanto.
Poiché, quando la voce diventa flebile, è il gesto l’unico che conta e che rimane.
È una frase che scrisse la buonanima di Sergio Moroni, nel momento in cui si accingeva a togliersi la vita.
Noi la vita non ce la togliamo.
Noi giornalisti seri, le vite le raccontiamo.
Ma le vite di tutti.
Anche quelle dei falsi fenomeni in stile Gratteri, i quali hanno ridotto terre di Calabria a una landa di deserto, laddove il malaffare, pur se non c’è, viene creato ad arte, anzi, ad usum delfini, di stampa compiacente e propaganda smaccata, tanto per farsi intervistare da una belloccia attempata stile Lilli Gruber su La7.