domenica, 18 Maggio 2025

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Il PD calabrese tra il passato che ritorna e il futuro che non arriva

Sotto la superficie dell’unità congressuale si celano le stesse logiche che hanno svuotato il partito. Il segretario Irto apre alle forze civiche: sarà solo tattica o una vera svolta? Il PD calabrese ha bisogno di una rivoluzione interna, non di compromessi. Dalle fratture interne non sono immuni neanche gli alleati del PD, faida interna anche all’interno del M5S. Il senatore democrat può ancora rompere gli equilibri, ma dovrà scegliere tra coraggio e convivenza con il sistema

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Il congresso solitario di Nicola Irto e le spine di un partito senza discontinuità

Nicola Irto si ricandida alla segreteria regionale del Partito Democratico calabrese. Sarà una corsa in solitaria. Nessun competitor, nessun dibattito aperto, nessuna dialettica vera.

Agli occhi dei meno esperti potrebbe sembrare un segno di unità. In realtà, è solo la manifestazione plastica di un malcostume politico antico, quello della cooptazione, del veto preventivo, delle candidature blindate che piacciono a tutti proprio perché non cambiano nulla.

Non è la sintonia interna che ha portato a una candidatura unica. È la rimozione del conflitto in superficie e la guerra tra bande nei corridoi. Una liturgia ipocrita che il PD calabrese recita da decenni. Quando il partito centrale decide di “commissariare”, lo fa per rimettere ordine, ma finisce regolarmente per produrre danni peggiori.

Il disastro firmato Graziano

La parabola recente lo dimostra. Dopo i tentativi di Alfredo D’Attorre, che comunque ci ha guadagnato un seggio alla camera dei deputati, il PD nazionale ha consegnato la Calabria al casertano Stefano Graziano, un uomo simbolo delle degenerazioni organizzative del partito.

Basti vedere cosa accade ancora oggi nella sua provincia, con tesseramenti gonfiati all’ultimo minuto, alleanze opache e fedeltà coltivate a suon di nomine.

Graziano ha usato la Calabria come un trampolino. La scelta di due candidature a presidente della Regione fallimentari — Callipo e Amalia Bruni — e una gestione commissariale che ha lasciato dietro di sé lacerazioni profonde, come quella con Mario Oliverio, abbandonato nella bufera giudiziaria senza nemmeno un atto di dignità politica da parte del partito che aveva servito.

E oggi, paradossalmente, Graziano continua a trafficare nelle dinamiche regionali, cercando appigli, sponde, referenti. Un protagonista della degenerazione, che torna in scena mentre si parla di “discontinuità”.

Rende, Cosenza e il déjà vu della disfatta

In queste ore Irto annuncia la volontà di costruire un PD “aperto”, senza padrini né pregiudizi. Lo ha ribadito nella recente intervista rilasciata a noi de’ La Novità ( https://www.lanovitaonline.it/nicola-irto-vogliamo-costruire-unalternativa-credibile-il-pd-calabrese-sara-aperto-senza-pregiudizi-e-senza-padrini/) ma i fatti, almeno apparentemente, lo contraddicono.

Rende, il PD ha scelto di non presentare il proprio simbolo e di non sostenere Sandro Principe, storico dirigente socialista, da sempre collocato nel campo democratico.

Irto giustifica la scelta come una differenza politica di visione, sul primo turno.

Eppure, chi conosce la storia della sinistra bruzia non può non ricordare il precedente amaro: quando, nel 2011, Nicola Adamo e Enza Bruno Bossio decisero di far perdere il centrosinistra a Cosenza, sabotando la candidatura dell’avvocato Paolini per favorire l’ascesa di Mario Occhiuto.

La memoria è importante: all’epoca Damiano Covelli, oggi assessore comunale di Caruso, fu costretto a dichiarare pubblicamente il ritiro del sostegno a Paolini in una conferenza stampa organizzata proprio da quell’area. Una scelta che non vedeva convinto neanche lo stesso Damiano Covelli ma, nelle cricche interne del Pd cosentino, “Nicolae e Elena Ceaușescu” erano due autentici democratici, ragione per cui, Covelli non ha avuto scelta. Una pagina buia, che però spiega tante cose.

I Ceausescu

È la sindrome di Cosenza: meglio perdere che cedere un pezzo di controllo.

E oggi il copione rischia di ripetersi a Rende, con i veti incrociati, i fantasmi delle correnti, e un PD che si auto-esclude per paura di rompere certi equilibri.

Ma torniamo su Rende.

A Rende, il PD ha deciso di non sostenere Sandro Principe e ha preferito puntare su un nome apparentemente nuovo: Bilotti.

Ma chi è questo Bilotti?

Secondo fonti attendibili, è stato socio di studio dell’ingegnere Pierluigi Caputo, consigliere regionale forzista e braccio operativo di Roberto Occhiuto.

Caputo, dicono, si sarebbe speso attivamente per aiutarlo nella costruzione delle liste.

Un dettaglio non di poco conto.

Il nome di Bilotti è stato indicato dal segretario provinciale del PD, Vittorio Pecoraro, giovane esponente che incarna una delle tante contraddizioni di un partito che si dichiara riformista ma si muove come un comitato di gestione. E tuttavia proprio questo profilo apparentemente trasversale, secondo anche quanto ha sostenuto il segretario regionale Irto, potrebbe rappresentare un valore aggiunto, un profilo civico che consentirebbe di attrarre fasce di elettorato tradizionalmente non di sinistra. Ci auguriamo che il segretario regionale e quello provinciale possano aver ragione e che  il tutto non sia invece un elemento di ulteriore ambiguità destinato a creare altra confusione nel campo di un centro sinistra già abbastanza in crisi di identità. 

Lamezia, la verità e la faccia salvata all’ultimo

Intanto, a Lamezia Terme, la lista del PD è stata salvata in extremis. Non da Giampà, segretario provinciale e commissario cittadino, ma dal responsabile regionale dell’organizzazione.

Il PD catanzarese ha cercato di coprire il disastro annunciato, e Giampà, che aveva parlato di “menzogne” sui social, ha dovuto incassare la verità: le nostre fonti sono sempre qualificate, e la sua esautorazione è stata reale, necessaria, documentabile.

La figura salvata sul filo di lana, la credibilità del partito affossata ancora una volta. Una gestione confusionaria che ha rischiato di compromettere la presenza stessa del partito alle elezioni comunali di Lamezia.

La trappola dei soliti noti

Irto dice di voler costruire una nuova fase.

Ma nella prima fila della sua candidatura c’erano gli Alecci, i Bevacqua, e altri personaggi che già da ore si accalcano fuori dalla sua porta per trattare il proprio spazio e il proprio ruolo.

La minaccia è evidente: la discontinuità promessa può trasformarsi in una rinegoziazione interna del potere.

Non una svolta, ma un rimpasto.

E qui sta il nodo: avere il coraggio di dire dei no. Di tagliare fuori chi da vent’anni cura solo il proprio orticello, ignorando la caduta verticale del consenso democratico.

In Calabria vota meno di un terzo degli aventi diritto.

La disaffezione è più forte proprio nell’area progressista, stanca di assistere alle sceneggiate di dirigenti senza visione, senza carisma, senza vergogna.

Bevacqua, Iacucci e la finta opposizione

E allora, diciamole le cose come stanno.

Avete mai sentito un grido di opposizione da Franco Iacucci?

Un tempo segretario particolare di Oliverio, oggi vice presidente del Consiglio Regionale, capace solo di custodire la propria postazione.

Avete mai ascoltato una voce autorevole da Mimmo Bevacqua, il capogruppo che si vanta d’aver avuto Roberto Occhiuto come testimone di nozze, ma che alla Regione non ha mai pronunciato una vera frase d’opposizione?

E poi Ernesto Alecci, di cui si ricorda più per i trasversalismi nei territori che per battaglie chiare contro il disastro Occhiuto.

Con questa armata Brancaleone non si costruisce un’alternativa.

E il compito di Nicola Irto è esattamente questo: liberarsene, tagliare, cambiare.

Cacciari e D’Alema: diagnosi senza tempo

Massimo Cacciari ha definito il PD “un insieme di avanzi di partito il cui unico collante è il potere. Non ha né strategie né anima”.

Una diagnosi brutale, che richiama alla mente un’altra celebre espressione, quella di Massimo D’Alema, che più di 15 anni fa definì il PD come “un’amalgama mal riuscita”.

Parole che oggi suonano ancora più vere, dopo anni di commissariamenti, di sconfitte, di ricicli, di simboli svuotati.

E se Sparta piange, Atene non ride

Ma se il PD calabrese è a pezzi, il Movimento 5 Stelle non sta meglio.

In Calabria è in atto una faida tra Anna Laura Orrico e Baldino / Tridico, con veti incrociati e strategie costruite a Roma su tavoli ristretti.

Un tempo volevano aprire il palazzo come una scatoletta di tonno.

Oggi lo arredano in silenzio, con lo stesso stile degli altri.

E c’è chi dice che tutto ruoti attorno a una futura candidatura alla Presidenza della Regione.

Ma le elezioni non si vincono così.

Non si costruisce un’alternativa in Calabria con faide romane e giochi di palazzo.

L’alternativa è possibile solo se si rompe il gioco

Nicola Irto ha di fronte a sé una scelta storica: fare sul serio o gestire l’esistente.

L’alternativa a Occhiuto non si costruisce con i residuati di sistema, ma con un’operazione di rotturarinnovamentocredibilità.

Tagliare chi non ha nulla da dire, chi non ha saputo fare opposizione, chi vanta solo fedeltà e non idee.

Questo vale per chi vuole restare in consiglio regionale.

Vale per chi sogna una candidatura al Parlamento.

Vale per chi, come la segretaria nazionale Elly Schlein, non può limitarsi a slogan efficaci — “non ci hanno visto arrivare” — senza poi cambiare il condominio che ha trovato.

Il tempo è ora.

I nomi sono noti.

Il rischio è chiaro.

Riusciranno i nostri eroi a salvarsi da se stessi?

Una via d’uscita c’è, se il coraggio si accompagna alla generosità

Eppure, in questo quadro così compromesso, una via d’uscita esiste. E paradossalmente, emerge proprio nelle parole finali dell’intervista che Nicola Irto ha rilasciato a La Novità Online.

In quel passaggio — forse il più importante — Irto non si rifugia nei meccanismi consunti del campo largo, ma lancia un messaggio politico nuovo e potenzialmente rigenerante: apre a movimenti civici, a esperienze autonome, ad alleanze fuori dai confini tradizionali del Partito Democratico.

Non per assorbire, ma per dialogare. Non per controllare, ma per costruire.

È un’apertura — leggiamo noi — che potrebbe consentire la nascita di spazi intermedizone franche in cui si raccolgano energie oggi sparse, deluse, inquiete.

Quei pezzi di società civile, di cultura politica, di impegno diffuso che oggi non si riconoscono nel PD calabrese, ma che non hanno smesso di credere nella necessità di un’alternativa democratica al disastro del governo Occhiuto.

Se queste forze troveranno il coraggio di strutturarsi, e se il Partito Democratico — nella persona del suo segretario regionale — saprà evitare la tentazione dell’assimilazione, ma sceglierà la pratica del confronto aperto e laico, allora davvero potrà nascere qualcosa di nuovo.

Non un campo largo, ma una confederazione di dignità, di storie, di battaglie, che possa tornare a parlare al popolo della sinistra calabrese, oggi abbandonato e disperso.

E allora sì, Nicola Irto potrà dimostrare che la discontinuità non è solo una parola, ma una scelta.

Non facile. Ma necessaria.

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