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Il ruggito mite di Leone XIV

Dal cuore agostiniano alla pace disarmante di Cristo: il nuovo Papa apre un’epoca nel segno della giustizia, del dialogo e della missione. Una scelta di nome che richiama Leone XIII e rilancia la dottrina sociale per un mondo smarrito

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Leone XIV: il nuovo pastore di Roma nel solco di un’eredità viva

“La pace sia per voi. Questa è la pace di Cristo risorto, una pace disarmata, disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti, incondizionatamente.”

Con queste parole pronunciate con voce ferma e tono pacato, Papa Leone XIV ha salutato per la prima volta la Chiesa universale, affacciandosi dalla loggia centrale di San Pietro. Un saluto che ha il timbro profondo della tradizione agostiniana, della meditazione sul mistero della pace, e insieme la volontà esplicita di essere un pastore tra il popolo, fedele al Vangelo e coraggioso nella missione.

Il cuore del suo discorso è stato un invito alla pace come cammino e testimonianza, lontano dai clamori del potere e dalle semplificazioni mediatiche. Nessun gesto eclatante, nessun colpo di teatro: il nuovo Papa si presenta con sobrietà austera, uno stile che riflette la sua formazione intellettuale e la sua spiritualità interiore.

Ma è la scelta del nome che ha destato subito attenzione. Leone XIV si colloca nella scia luminosa di Leone XIII, il grande papa del passaggio tra Ottocento e Novecento, padre della dottrina sociale della Chiesa. Se Leone XIII volle affrontare con fermezza le “cose nuove” del suo tempo — il lavoro operaio, il capitalismo, il socialismo —, Leone XIV sembra voler dire: ci sono “cose nuove” anche oggi che esigono la voce della Chiesa. Temi scottanti come la guerra, la giustizia globale, la famiglia, la crisi ecologica e antropologica.

Non è un mistero che il nuovo Pontefice, in passato, abbia espresso posizioni nette su alcuni di questi fronti: ha criticato la normalizzazione culturale dell’ideologia di genere, ha sollevato dubbi sulle derive dell’educazione occidentale, ha denunciato il relativismo morale dominante. Ma chi cerca un papa guerriero resterà deluso: il suo stile è silenzioso, ma non timido, sobrio ma fermo, riservato ma orientato alla verità.

Nel primo intervento ha anche voluto ricordare Papa Francesco, evocando quella Pasqua in cui, durante la pandemia, Francesco benedisse in solitudine Roma e il mondo. “Ancora conserviamo nelle orecchie quella voce debole ma coraggiosa”, ha detto con commozione. Un segno di continuità nello spirito pastorale e nella prossimità ai sofferenti, ma anche l’inizio di un nuovo passo ecclesiale, forse più raccolto e meno esposto al clamore pubblico.

“Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano. Sono cristiano con voi, vescovo per voi.”Così si è presentato alla Chiesa universale. E da agostiniano ha richiamato il pellegrinaggio comune verso la patria celeste, ma anche la necessità di costruire ponti di dialogo, non muri ideologici.

Infine, ha lasciato una traccia importante: Roma sarà il laboratorio di una Chiesa missionaria, aperta alla carità e all’incontro. “Con le braccia aperte, accogliere tutti coloro che hanno bisogno della nostra presenza, del dialogo, dell’amore.”

È qui che Leone XIV si rivela nella sua intenzione profonda: fare della Chiesa non un tribunale, ma una casa, non un fortino assediato, ma una luce per i popoli. E nel nome Leone, il simbolo di chi sa custodire la verità senza dimenticare la misericordia.

Nel mondo lacerato da guerre, ingiustizie e nuove minacce globali, si affaccia alla guida della Chiesa cattolica Leone XIV, un Papa che molti descrivono come “conservatore”, ma che nei primi istanti del suo pontificato si è mostrato attento ai deboli, ai poveri, ai dimenticati, nel solco di Leone XIII.

Il nome scelto non è casuale: non è un ritorno all’ordine, ma piuttosto un richiamo alla forza mite della dottrina sociale della Chiesa, quella capace di leggere la storia, di parlare al mondo con fermezza e misericordia. Il suo primo discorso è stato un messaggio di pace e di ponte, due parole ripetute più volte, in un momento storico in cui la parola “guerra” domina ogni scenario globale: la tragedia di Gaza, la guerra infinita in Ucraina, e oggi la nuova, inquietante tensione tra India e Pakistan, potenze nucleari su un fronte che rischia di degenerare in una catastrofe.

Il Papa agostiniano non ha fatto proclami, ma ha scelto di stare vicino alle coscienze, di parlare ai cuori. Eppure, non gli mancano il coraggio e la schiena dritta. In passato, quando era ancora cardinale, Robert Prevost ha affrontato a viso aperto figure dell’area trumpianacome JD Vance, oggi vicepresidente USA. In un post del 3 febbraio 2025, Prevost ha scritto:

“JD Vance sbaglia: Gesù non ci chiede di classificare il nostro  amore per gli altri.”

Una presa di posizione netta, chiara, evangelica, contro ogni gerarchia disumanizzante tra popoli e persone.

E non è stato l’unico intervento. Come dimostra il post ripubblicato dallo stesso Prevost il 15 aprile, in cui si denuncia la deportazione di un residente statunitense di origine salvadoregna, definita “illecita”, con un richiamo accorato al dolore dell’altro:

“Non vedete la sofferenza? La vostra coscienza non è turbata? Come potete restare in silenzio?”

Sono parole che, oggi, rilette alla luce della sua elezione, pesano come pietre. Leone XIV non sarà un Papa accomodante. La sua sarà forse una via mediana tra la spinta pastorale e dirompente di Francesco e la richiesta di identità e radicamento dell’ala conservatrice, ma con una direzione ben chiara: la giustizia, la pace, la carità.

E in un mondo dove Trump, Bukele e altri leader si contendono il linguaggio del potere, il Papa sceglie la lingua di Dio, quella della mitezza, dell’impegno e della voce profetica. E se Leone XIII parlava ai proletari di fine Ottocento, Leone XIV parla oggi agli scartati globali, ai migranti, ai civili sotto le bombe, alle minoranze ignorate.

È un ruggito mite, ma nessuno potrà fingere di non averlo sentito.

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