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INCHIESTA ESCLUSIVA: l’inferno giudiziario di Vincenzo Speziali

Come un cittadino italiano è stato stritolato da una procura fuori controllo, tra falsi dossier, abusi internazionali e silenzi istituzionali. Un’inchiesta esclusiva che ricostruisce la storia dimenticata di un uomo travolto da una macchina giudiziaria degenerata: intercettazioni illegali in Libano, informative falsificate, trattati internazionali calpestati, patteggiamento imposto per poter tornare in patria. E nessuno ha mai pagato

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Il cittadino di Beirut e l’ombra del sospetto

Dove inizia l’inferno giudiziario di Vincenzo Speziali, e come una procura italiana travalica confini, diritti e verità.

C’è un uomo che da anni vive a Beirut, capitale di un Libano instabile ma ancora sovrano. È cittadino italiano, ha sposato una donna libanese, vive dentro una dimensione politica, imprenditoriale, familiare. Si chiama Vincenzo Speziali. Lo si può amare o detestare: ex segretario nazionale dei giovani DC, uomo della vecchia scuola democristiana, navigato nei corridoi della politica internazionale. Ma non è per questo che diventa protagonista di uno dei più gravi sconfinamenti giudiziari della magistratura italiana. È per un’altra ragione, assai più inquietante.

Nel 2014, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria (DDA), guidata all’epoca dal PM Giuseppe Lombardo, dà il via a un’inchiesta per ricostruire la rete di protezione del latitante Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia. Le tracce portano fino a Beirut, dove nel frattempo si trovava anche Marcello Dell’Utri, altro esponente storico del berlusconismo, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. È qui, in mezzo a queste ombre, che il nome di Vincenzo Speziali viene inserito con la forza della suggestione: “in quanto residente in Libano”, “perché in rapporti con l’ambiente”, “perché democristiano, quindi inaffidabile”.

L’inchiesta prende corpo in modo anomalo. Nessun interrogatorio, nessun confronto. Speziali non viene mai convocato né ascoltato, nonostante le ripetute richieste dei suoi legali. Al contrario, viene intercettato all’estero, spiato, seguito. Ma qui sorge il primo girone dell’inferno: l’intera attività investigativa viene condotta in violazione del diritto internazionale e dei trattati bilaterali tra Italia e Libano.

Una denuncia dettagliata di questa violazione arriva dalla moglie di Speziali, Joumana Raymond Rizk, cittadina libanese, che si rivolge alle autorità del suo Paese per denunciare un fatto grave: agenti italiani di stanza presso l’ambasciata avrebbero effettuato intercettazioni e appostamenti abusivi presso la loro abitazione, senza alcuna autorizzazione dello Stato libanese.

Non è un’accusa campata in aria. È un atto formale, contenuto in un esposto indirizzato anche al CSM e alla Procura Generale della Cassazione. È qui che emerge il primo nodo documentale: la Cassazione libanese certifica l’inesistenza di qualsiasi legame tra Speziali e Dell’Utri, e afferma che Speziali non era nemmeno oggetto di indagini giudiziarie in Libano. Tutto l’impianto investigativo si basa su relazioni di dubbia origine e documenti che verranno in seguito smentiti dagli stessi organi istituzionali italiani ed esteri.

Nonostante ciò, la macchina dell’accusa non si ferma. Anzi, accelera. Ma non produce prove. Non produce riscontri. E quando il procedimento resta sospeso per anni, come in una strategia di logoramento personale e politico, a Vincenzo Speziali non resta che accettare un patteggiamentonon per colpa, ma per necessità: l’unico modo per rientrare in Italia e assistere i propri genitori malati.

“Una scelta condizionata dagli eventi”, come scrive lui stesso nell’esposto al CSM. Un patteggiamento che serve solo a sbloccare la sua posizione, ma che verrà poi utilizzato – mediaticamente e politicamente – come una confessione di colpevolezza.

Nel frattempo, la gogna mediatica esplode: un cittadino italiano residente all’estero diventa “complice della fuga dei potenti”, e il suo passato politico, le sue frequentazioni, le sue amicizie diventano carburante per una narrazione infuocata. Nessuno approfondisce. Nessuno verifica. Nessuno legge i documenti depositati a Beirut, a Roma, ad Abu Dhabi. Ma è da lì, da quelle carte, che noi ora cominciamo a scendere nei gironi successivi.

Le carte che smentiscono lo Stato

Come falsi documenti, testimonianze inattendibili e informative manipolate hanno alimentato un’accusa senza prove.

Nel meccanismo che ha intrappolato Vincenzo Speziali, le carte non sono servite a provare i fatti, ma a costruirli. È un dettaglio fondamentale. Perché in questa vicenda le prove non esistono: esistono documenti prodotti da apparati dello Stato italiano, poi smentiti dagli stessi Stati coinvolti.

1. Il falso rapporto Guiso

Il primo atto che Speziali definisce “falso” è una relazione firmata da Paolo Guiso, vice questore aggiunto e dirigente del Centro Operativo della DIA di Roma. Secondo questa informativa, durante la presa in consegna di Marcello Dell’Utri a Beirut, il direttore dei servizi segreti libanesi avrebbe convocato Guiso per chiedergli informazioni su Vincenzo Speziali.

Paolo Guiso

Peccato che questa circostanza non sia mai avvenuta. Lo dice la Cassazione libanese, che in una comunicazione ufficiale (depositata presso le autorità italiane il 1° ottobre 2015) afferma che non vi è traccia di alcun incontro, né tantomeno di alcuna richiesta da parte dei servizi libanesi sul conto di Speziali.

Anzi, quel giorno Speziali non era nemmeno in Libano. Era all’estero. E lo dimostrano i suoi movimenti ufficiali. Dunque, quella relazione è un falso in piena regola.

2. Il secondo falso: Costantini ad Abu Dhabi

Il secondo documento che incastra Speziali è un’informativa del colonnello Paolo Costantini, Capocentro dei servizi italiani ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi. Secondo questa ricostruzione, Speziali sarebbe stato visto presso la nostra ambasciata il giorno successivo all’arresto di Amedeo Matacena, per “agevolare” la sua fuga.

Paolo Costantini

Anche qui, la realtà documentale è impietosa: l’Ambasciata d’Italia ad Abu Dhabi, con nota ufficiale firmata dalla capo cancelleria consolare Caterina Giugliuto, attesta che Speziali non è mai entrato nei locali diplomatici in quel periodo. Non solo: anche il Ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti conferma, con nota del 2017, che non risultano ingressi nel paese a suo nome dal 1° gennaio 2013 in poi.

Questi sono atti ufficiali, diplomatici, certificati. Eppure nulla ha fermato l’accusa.

3. Le testimonianze manipolate

Tra le fonti che alimentano la ricostruzione della procura di Reggio Calabria, c’è la testimonianza del colonnello Costantini stesso, riportata negli atti del processo penale n. 3672714 RGNR. Ma le sue dichiarazioni, alla luce dei documenti delle ambasciate, risultano falsificate nei fatti.

Ancora più sconcertante: nessuno, né la procura, né i giudici, ha voluto prendere atto della smentita ufficiale di quegli elementi, già depositata in atti dal 2015. Non solo, nel 2018, Speziali presenta un esposto formale al CSM, allegando tutta la documentazione. La risposta? Una deroga formale, in cui si dichiara che i termini erano ormai trascorsi, quindi “non si poteva più agire”.

4. L’interrogatorio di Dell’Utri: il nome di Speziali non esiste

Un altro documento cruciale: il verbale ufficiale dell’interrogatorio di Marcello Dell’Utri a Beirut, in data 12 maggio 2014. Il nome di Vincenzo Speziali non compare mai. Né viene citato da Dell’Utri, né viene menzionato dalle autorità libanesi. Nulla. Il vuoto. Nessuna connessione.

5. La lettera “fantasma” a Scajola

Nel 2014, una presunta lettera viene ritrovata nell’ufficio dell’ex ministro Claudio Scajola, indirizzata – secondo l’accusa – da Vincenzo Speziali, inviata da un fax calabrese. Ma anche qui, la magistratura libanese si esprime chiaramente: con sentenza del Tribunale di Beirut (proc. 443/2016), il giudice dichiara Speziali completamente estraneo ai fatti, sulla base di una perizia tecnica effettuata dal consulente Marwan Ghantous.

La gogna, il patteggiamento e il silenzio dei giusti

Quando l’unica via d’uscita da un’accusa infondata è piegarsi al ricatto giudiziario. E chi dovrebbe parlare, tace.

La verità, in certe aule, vale meno della convenienza. Meno di un teorema da chiudere, meno di un titolo da sbattere in prima pagina. Per Vincenzo Speziali, dopo anni di indagini illegittime, intercettazioni abusive, informative false e carte diplomatiche ignorate, arriva il tempo dell’ultima trappola: la scelta obbligata di patteggiare.

Non per colpa. Non per ammissione. Ma per sfinimento giudiziario e umano. Dopo quattro anni di sospensione, di limbo processuale in cui nessuno lo interroga, nessuno lo assolve, nessuno lo incrimina davvero, Speziali viene costretto a firmare un patteggiamento per poter riabbracciare i suoi genitori malati in Italia.

Claudio Scajola

Lo racconta lui stesso, nero su bianco, nell’esposto del 23 luglio 2018:

“Costretto – per mia scelta condizionata dagli eventi – a patteggiare la pena connessa con la imputazione di favoreggiamento, allo scopo di potere rientrare nel mio Paese per incontrare i miei anziani genitori in quel momento in gravi condizioni di salute.”

Non si tratta di un’ammissione, ma di una resa tattica davanti a un’accusa kafkiana. Non si tratta di una giustizia che accerta, ma di una magistratura che tiene ostaggio un cittadino all’estero, in attesa che ceda.

La gogna mediatica

Nel frattempo, la macchina del fango si mette in moto. Speziali diventa il volto sporco di una rete internazionale di latitanti, il “democristiano delle fughe”, un eminence grise sospettabile per definizione. La stampa più giustizialista lo impacchetta nel tritacarne dei Dell’Utri, Matacena, Scajola. Nessuno legge gli atti. Nessuno controlla i documenti. L’equazione è già pronta: Beirut + politica + rapporti ambigui = colpevole.

Ma le ambasciate smentiscono, la Cassazione libanese attesta l’estraneità, le testimonianze crollano, i rapporti dei servizi sono smascherati. Eppure, nulla frena la narrazione. Perché la gogna è più forte della verità, più vendibile.

La solitudine del giusto

E dove sono, intanto, le istituzioni? Dove il CSM, che ha derogato l’esposto presentato da Speziali perché “fuori tempo massimo”? Dove i parlamentari che invocano la giustizia, salvo poi restare zitti quando la magistratura calpesta trattati internazionali? Dove i garantisti di facciata, sempre pronti a difendere gli amici ma mai un nemico scomodo?

Un’interrogazione parlamentare, presentata a posteriori, prova a riaprire il caso, chiedendo al Ministro della Giustizia di verificare la condotta del PM Giuseppe Lombardo e agli Esteri di accertare la posizione di Costantini e Guiso, i funzionari che firmarono relazioni poi smentite. Ma è troppo tardi. La macchina si è già mossa. E Speziali ha già firmato.

Giuseppe Lombardo

Il silenzio dei giusti è l’ultima condanna: una società che accetta che un cittadino venga indotto a patteggiare per tornare in patria, senza che nessuno si indigni, è una società malata. Una democrazia che accetta intercettazioni abusive all’estero, senza autorizzazioni, ha già ceduto alle procure la sua sovranità.

Il processo alle regole

Quando l’indagine diventa arbitrio, il patteggiamento estorsione, e la giustizia uno strumento di dominio.

C’è un momento, in ogni grande stortura della Storia, in cui l’eccezione cessa di essere tale e si trasforma in regola. Il caso di Vincenzo Speziali segna questo momento. È il simbolo di una giustizia rovesciata, dove non si parte dai fatti per costruire l’accusa, ma si parte da un sospetto per piegare i fatti a un teorema.

Il sospetto era: “è democristiano, è in Libano, conosce Dell’Utri e Matacena, quindi qualcosa sa”.
Il metodo è stato: intercettazioni senza autorizzazione internazionale, informative false, mancati confronti difensivi, media mobilitati, patteggiamento estorto per rientrare in patria.

Ma se tutto questo è possibile, allora non siamo più nel campo dell’eccezione. Siamo dentro una strategia sistemica di abuso giudiziario.

La violazione della sovranità libanese

Il punto di frattura è giuridico prima che politico. La magistratura italiana, nella persona del PM Giuseppe Lombardo, ha ordinato atti investigativi sul territorio libanese – pedinamenti, intercettazioni, acquisizioni di dati – senza autorizzazione del governo o del ministero della giustizia libanese. Questo è un fatto.

È una violazione non solo del diritto internazionale, ma anche del Trattato bilaterale Italia–Libano, ancora vigente. È stato un atto di forza contro uno Stato sovrano. Un’invasione giudiziaria sotto mentite spoglie. Una modalità operativa degna più dei servizi segreti che della giustizia penale.

Lo certificano:

  • la Cassazione libanese con atti ufficiali;
  • le autorità diplomatiche italiane e arabe con note depositate;
  • l’interrogazione parlamentare italiana che denuncia apertamente questa degenerazione.

Eppure, nulla è accaduto. Nessun procedimento disciplinare. Nessuna azione del CSM. Nessuna ispezione ministeriale. La giustizia si auto-assolve, perché si è resa irresponsabile.

Il patteggiamento come ricatto di Stato

Costringere un cittadino a patteggiare per reati che non ha commesso, solo per rientrare in Italia, è un abuso equiparabile a una forma di ricatto istituzionale. È un’arma politica. È una tortura bianca. Il diritto penale diventa strumento di pressione diplomatico-giudiziaria. È il contrario di ciò che dovrebbe essere: garanzia per il cittadino contro l’arbitrio.

Il processo non è più rito di verità, ma rito di eliminazione politica. La magistratura non cerca la colpa, ma la costruzione del nemico.

Il CSM e l’impunità dei magistrati

Il Consiglio Superiore della Magistratura, chiamato in causa da Speziali con un esposto circostanziato e documentato, ha scelto di non entrare nel merito. Ha dichiarato i fatti “derogati”, i termini scaduti. Una risposta burocratica a una questione di giustizia costituzionale.

PALAZZO DEI MARESCIALLI CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA CSM

Eppure qui si è violato:

  • il diritto internazionale,
  • il principio del giudice naturale,
  • il diritto di difesa,
  • la sovranità di uno Stato estero,
  • l’inviolabilità delle comunicazioni private,
  • e infine il diritto alla reputazione e alla dignità personale.

E nessuno paga. Nessuno viene sospeso. Nessuno viene richiamato.

Al contrario: Giuseppe Lombardo prosegue indisturbato, la DIA continua a operare, i servizi che firmarono documenti falsi non subiscono alcun provvedimento. Il sistema si protegge. Il sistema si autoprotegge.

Il fallimento delle riforme

Questa vicenda è la dimostrazione concreta di quanto sia urgente una riforma radicale della giustizia, e al contempo la prova di perché essa non passa mai: perché il potere giudiziario, quello che conta, non vuole essere riformato.

Ogni tentativo viene bloccato, delegittimato, sabotato. E intanto casi come quello di Speziali – come quello di Mario Oliverio, di Giuseppe Perri, di tanti altri travolti da accuse poi evaporate – dimostrano che la giustizia può essere strumento di potere e non di diritto.

L’atto d’accusa

Perché il caso Speziali non è un’eccezione, ma un precedente. E se può accadere a lui, può accadere a chiunque.

C’è qualcosa che, alla fine di questa storia, resta ineludibile. Ed è il senso profondo di una democrazia violata dall’interno, non da nemici esterni, non da eversioni dichiarate, ma da apparati dello Stato che agiscono oltre la legge, certi della propria impunità.

La vicenda di Vincenzo Speziali non è un errore giudiziario. È una costruzione giudiziaria arbitraria. È il frutto di un meccanismo malato, in cui l’accusa prende il posto della verità, l’indagine sostituisce il processo, e il sospetto diventa condanna.

Speziali è stato:

  • intercettato all’estero senza autorizzazioni internazionali;
  • inserito in un’inchiesta priva di prove;
  • descritto come parte di una rete mafiosa senza aver avuto rapporti né con Dell’Utri né con Matacena (lo certificano le autorità libanesi e i verbali ufficiali);
  • costretto a patteggiare per poter vedere i propri genitori;
  • massacrato mediaticamente, senza diritto di replica;
  • ignorato dal CSM, che ha chiuso il caso con una riga amministrativa.

Tutto questo non è giustizia. È un’aberrazione della giustizia. È la forma moderna di una condanna senza processo, dove l’individuo è solo un mezzo per costruire una narrazione utile, per consolidare il potere di una parte della magistratura, per fabbricare un colpevole quando non si trovano le prove.

Un precedente pericoloso

Se può accadere a Vincenzo Speziali – uomo noto, con legami internazionali, documenti ufficiali a suo favore – può accadere a chiunque. A un sindaco. A un giornalista. A un imprenditore. A un cittadino qualunque.
E quando accade senza conseguenze per chi sbaglia, allora non è più un incidente: è sistema.

Vincenzo Speziali

Questa vicenda segna un punto di non ritorno. Una linea oltre la quale lo Stato smette di essere garante e diventa carnefice. E se non c’è una reazione, se nessuno paga per quanto accaduto, allora il diritto non è più una garanzia. È solo un’arma nelle mani dei più forti.

La battaglia politica e civile

Per questo raccontare questa storia è necessario. Non per difendere un uomo, ma per denunciare una deriva. Non per riabilitare un nome, ma per chiamare alla responsabilità un intero sistema: quello giudiziario, quello mediatico, quello istituzionale.

E per dire, con voce chiara, che una giustizia che viola le regole non è più giustizia. È arbitrio. È potere. È un altro volto dell’illegalità.

Questo è il nostro atto d’accusa.
Contro una magistratura che si ritiene intoccabile.
Contro un CSM che si volta dall’altra parte.
Contro uno Stato che umilia chi dovrebbe proteggere.

Ma anche un atto di fiducia.
Nel potere della verità documentata.
Nella dignità delle persone che resistono.
Nel diritto che può – e deve – tornare ad essere giusto.

Il caso Speziali non è chiuso. È appena iniziato.

CRONOLOGIA DEL CASO VINCENZO SPEZIALI

2004 – Vincenzo Speziali si trasferisce stabilmente a Beirut, Libano, dove si sposa con Joumana Raymond Rizk, esponente di una nota famiglia libanese.

Dicembre 2013 – La DDA di Reggio Calabria avvia un’indagine legata alla latitanza dell’ex deputato Amedeo Matacena. Speziali viene intercettato, senza autorizzazione, in Libano.

8 aprile 2014 – Viene emesso un mandato di cattura per Marcello Dell’Utri, poi localizzato a Beirut.

12 maggio 2014 – Interrogatorio ufficiale di Dell’Utri a Beirut: non viene fatta alcuna menzione di Vincenzo Speziali.

1 ottobre 2015 – La Cassazione libanese certifica che Speziali non è oggetto di indagini e non ha avuto contatti con Dell’Utri o Matacena.

Luglio 2017 – Il Ministero degli Esteri degli Emirati Arabi attesta che Speziali non è mai entrato negli EAU, smentendo la relazione dei servizi italiani.

17 aprile 2018 – La moglie di Speziali presenta esposto alla magistratura libanese contro Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio per violazione della sovranità e intercettazioni abusive.

23 luglio 2018 – Speziali presenta esposto formale al CSM per le irregolarità subite.

30 luglio 2018 – L’esposto viene depositato anche presso la Procura della Repubblica di Roma.

5 aprile 2019 – Interrogazione parlamentare ufficiale solleva il caso Speziali in Aula e chiede spiegazioni su abusi, violazioni e mancati provvedimenti.

18 aprile 2019 – Udienza a Beirut nel procedimento aperto su richiesta della moglie di Speziali contro i magistrati italiani.

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