Ben Arad, aspetto da bambino e sguardo timido. Un giovane di 18 anni che ha scelto di rifiutare la coscrizione obbligatoria nell’esercito di Tel Aviv per motivi politici, mette in evidenza il coraggio di ”piccoli eroi” che si oppongono alle politiche governative, con azioni non violente. La resistenza non armata rappresenta una forma di protesta contro l’occupazione e un’espressione di solidarietà per il popolo palestinese.
Ad oggi, il terzo giovane che dal 7 ottobre 2023 rifiuta di arruolarsi. Una scelta che potrebbe essere riconducibile a un movimento più ampio di resistenza pacifica, contro il conflitto israelo-palestinese.
Ha deciso di salutare i suoi compagni per l’ultima volta. Poi si consegnerà all’esercito del suo Paese per essere arrestato. Una volta manifestato il rifiuto a entrare nell’esercito, da prassi, gli ufficiali cercheranno di convincerlo a riconsiderare la decisione. Potrebbe essere soggetto a interrogatori. Utilizzeranno argomenti basati sul dovere nazionale, sulla responsabilità verso il proprio Paese e sulla necessità di contribuire alla sicurezza dello Stato di Israele. Ottenuto il motivo del rifiuto, lo porteranno in una cella di detenzione temporanea, prima di essere trasferito nella prigione militare, dove sconterà la pena per essersi rifiutato di indossare la divisa.
Se giudicato colpevole di disobbedienza all’autorità, o reo di rifiuto ad adempiere gli obblighi militari, potrebbe essere condannato alla detenzione per diversi anni.
Il caso sarà trattato da una commissione composta da psicologi dell’esercito, incaricati di valutare lo stato emotivo e la stabilità psicologica. In Israele, il servizio militare è obbligatorio per uomini e donne. L’esenzione, concessa principalmente per motivi psicofisici e religiosi.
<< Sapevo da molto tempo che non avrei voluto fare il servizio militare – commenta Ben – ma con l’inizio della guerra ho capito che era mia precisa responsabilità rifiutarlo per motivi politici. Volevo gridare al Paese che non intendo prendere parte a questo circolo di violenza >>.
Rifiutare la leva per motivi politici è una scelta pericolosa, dalle conseguenze estreme. Inclusa la privazione della libertà personale. Il carcere per un periodo di tempo deciso dal Tribunale militare. I cosiddetti “obiettori di coscienza” non si arruolano nell’esercito per protesta, contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Per manifestare il rifiuto della politica militare di Governo. << Andare in prigione non mi spaventa. La cosa che mi fa più paura è pensare a quando uscirò e tornerò alla vita normale: sarò un adulto – prosegue il ragazzo – completamente libero e solo al mondo. Gran parte della cultura israeliana è militarista. L’esercito rappresenta una tappa molto, molto importante della vita delle persone e i miei amici sono in maggioranza soldati o lo diventeranno. Sono cresciuto in una famiglia abbastanza militarista, tutti i suoi membri hanno servito nell’esercito. Ma, per quanto le mie opinioni siano lontane dalle loro e per quanto siano difficili da comprendere ai loro occhi, le accettano e accettano me >>.
Durante la maggior parte della mia vita non ho capito cosa stessero soffrendo i palestinesi
Il fatto che Ben abbia fatto questa riflessione può indicare la volontà di comprendere il punto di vista dei palestinesi, le cause del loro dolore. << Sapevo che c’era una guerra e la gente mi diceva che gli arabi erano un popolo violento – aggiunge – che rifiutava qualsiasi offerta di pace. Quello mi hanno insegnato, quindi è quello che credevo fosse reale. A 10 anni mi sono avvicinato alla politica, ero molto preoccupato per il cambiamento climatico. Con il tempo ho preso una posizione, credo, anti-capitalista>>.
Il cambiamento climatico è spesso visto come una conseguenza del modello economico capitalista basato sul consumo eccessivo e sul profitto illimitato. Ben crede che nessuno trarrà profitto da questa guerra. Nessuno << tranne gli estremisti di entrambi i fronti: i leader israeliani, come Itamar Ben-Gvir e i suoi amici coloni in Cisgiordania – sottolinea – che stanno usando la guerra per conquistare più terra, o Hamas, i cui uomini di punta sono quasi tutti comodamente seduti in Qatar. Penso che il destino del popolo palestinese e di quello israeliano sia intrecciato. Se il primo non sarà libero, allora neanche il secondo lo sarà >>.
Sto cercando di fermare una politica di vendetta
Prima di concludere la sua testimonianza, Ben spiega che la sua scelta non è dettata da motivi di non riconoscimento della identità israeliana. Al contrario << Penso, semmai, che sto rendendo a modo mio un servizio a Israele, perché sto cercando di fermare una politica di vendetta, una sete di sangue che alla fine tornerà a colpire anche la popolazione israeliana. Così come nulla è cambiato nella mia percezione del popolo palestinese dopo il 7 ottobre. So che la maggior parte della gente vuole solo avere una vita tranquilla, in pace; l’odio non è così potente come la volontà della gente di stare in pace. Spero che un giorno potremo vivere in due Stati e forse, in un futuro lontano, quando ci sarà la pace, si potrà viaggiare liberamente tra Palestina e Israele. E si potrà convivere. Questo è il mio sogno. La maggioranza dei palestinesi non è originaria della Cisgiordania o di Gaza; i palestinesi hanno il diritto di tornare a casa. Sono convinto che ci sia molto lavoro da fare prima di arrivare a quel punto, ma spero davvero che un domani potremo raggiungerlo >>.