Nell’ultimo film di Antonio Albanese, “Un mondo a parte”, una dei momenti più significativi è la citazione della “Restanza” e del concetto firmato dall’antropologo Calabrese, Vito Teti. Albanese, dopo aver fatto vedere il Calabrese più ridicolo con Cetto La Qualunque, si riabilita agli occhi dei Calabresi riuscendo a far conoscere al grande pubblico del cinema la figura del nostro intellettuale di San Nicola da Crissa. La bella narrazione della Calabria che ci piace.
Ieri sera ho visto un bel film, ho visto l’ultimo film di Antonio Albanese, “Un mondo a parte”. In questo film, molto bello sia per la storia che per i luoghi e i concetti che esprime, nella parte centrale le mie orecchie si sono accese come dei radar, nel sentire la parola “Restanza”. Il professore Michele (Albanese) esprime questo termine a dei genitori disperati, perché il figlio ha deciso che vuole restare a lavorare i campi, e l’attore a queste parole, lui che era andato nelle Marche per ritrovare un rapporto con la natura, con le cose semplici, non sembra vero. Allora, pieno di entusiasmo per cercare di appoggiare l’azione di questo giovane, cita il nostro amato antropologo Vito Teti ed il suo concetto di “Restanza”. Io ho sempre amato gli intellettuali Calabresi, ho sempre cercato di valorizzarli e pubblicarli e Teti tra tutti è sicuramente una delle menti migliori. A proposito mi piace ricordare la citazione della Treccani: Negli studi antropologici, con particolare riferimento alla condizione problematica del Sud d’Italia, la posizione di chi decide di restare, rinunciando a recidere il legame con la propria terra e comunità d’origine non per rassegnazione, ma con un atteggiamento propositivo. Il professor Vito Teti, nel suo recentissimo Pietre di pane. Un’antropologia del restare, analizza splendidamente (e come scrive!) questo trascuratissimo fenomeno, la Restanza, la crescente tribù di quelli che restano. Sono rimasto veramente colpito, per due ordini di motivi, il primo legato ad Albanese e il secondo all’azione di Albanese. Mi spiego. Negli ultimi anni avevo preso un po’ in antipatia verso l’attore lombardo, perché dopo i primi anni, dove era diventato tra i migliori comici della sua generazione, indimenticabile l’interpretazione di “Frengo” tifoso Foggiano nel programma Mai dire gol, nei film con la Cortellesi e nel film “La fame e la sete”. Ma poi è incappato nell’offesa al calabrese, che spesso porta una forte antipatia verso gli artisti che se ne fanno portavoce. Chiedere a Venditti, o Augias. Il personaggio di “Cetto La Qualunque”, anche se di ispirazione originale calabrese, non ci rappresenta, anzi rappresenta il peggio di noi.
Questo penso sia il concetto fondamentale, che potrà far diventare molto importante questo film per la carriera di questo attore. Anzi se vogliamo essere ancora più precisi, questo film può diventare l’elemento di riscatto di Antonio Albanese nei confronti della Calabria intera. Una sorte di cancellazione del vizio originale. Perché quella di questo attore comico, rischia di diventare a sua insaputa di tutto e di tutti, una grande opera d’arte di un neo artista contemporaneo. Infine, non voglio essere tenero con nessuno, oppure non nominare chi ha paura delle proprie scelte. Ma la chicca del gesto di Albanese è quella di aver dato fama ad una persona che lo merita, ad una persona che non rappresenta lo stereotipo del calabrese che piace alla stampa nazional-popolare, non rappresenta il classico cliché di chi rappresenta la Calabria che con tutto il rispetto oggi è composto solo da uomini delle forze dell’ordine, oppure da qualche magistrato. Ma lui è un intellettuale, un uomo di cultura, un antropologo. Teti rappresenta veramente il meglio della Calabria, un narrazione che ci piace e che vorremmo fosse sempre messa in primo piano.