Se c’è una lezione chiara da trarre dal clamoroso fallimento del progetto di fusione tra i comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero, è che nessun disegno politico, per quanto apparentemente ambizioso, può essere imposto dall’alto senza il consenso reale e partecipazione delle comunità interessate. Non è solo la bocciatura di un iter autoritario e calato dall’alto, ma una condanna inequivocabile delle classi dirigenti calabresi, tanto a destra quanto a sinistra.
Partiamo dal dato oggettivo: il no, espresso sia attraverso il voto contrario che tramite l’astensione, rappresenta oltre il 75% in ciascuno dei tre comuni coinvolti. Una sconfitta schiacciante, che non lascia spazio a interpretazioni: non si può parlare di mancanza di comprensione del progetto, ma di un rifiuto netto di un metodo autoritario, distante e sordo dalle esigenze reali dei cittadini. Il messaggio è stato forte e chiaro: le comunità non sono pronte a rinunciare alla propria identità, tanto meno per un progetto che non ha saputo parlare alle loro speranze né ai loro bisogni.
Il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo era stato l’unico in consiglio regionale che aveva messo in guardia dal rischio della disaffezione e, per tale motivo aveva votato contro la legge sulla fusione dei comuni, sottolineando l’importanza di rispettare la volontà delle singole comunità coinvolte. Lo Schiavo, insieme al collega Davide Tavernise, aveva presentato una proposta di legge per modificare le modalità referendarie in caso di fusione, affinché l’esito fosse favorevole in ciascun comune interessato, garantendo così una maggiore tutela dell’espressione democratica locale. A questo richiamo è stata sorda sia la maggioranza capitanata da Occhiuto che il gruppo del PD guidato da Mimmo Bevacqua, un gruppo quest’ultimo, ormai sempre al confine tra subalternità a Occhiuto e sostegno deliberato.
Fatta questa premessa appare abbastanza stupida (politicamente parlando s’intende) la presa di posizione “post-mortem” del capogruppo del PD in consiglio regionale Mimmo Bevacqua, di addebitare tutta la disfatta cosentina al presidente Roberto Occhiuto. In verità, se il PD fosse stato un partito serio, proprio questo campione di strategia politica dovrebbe, quantomeno, dimettersi da capogruppo in consiglio regionale, per il sol fatto di aver trascinato il PD nella disfatta del centrodestra, approvando la legge sulle fusioni. Qualcuno, se il PD fosse un partito serio, dovrebbe incaricarsi di avvertire la segretaria nazionale Elly Schlein che, il PD calabrese, in consiglio regionale è guidato da un monumento di idiozia politica, primo della classe in tafazzismo politico, il quale, se venisse scoperto da Crozza potrebbe diventare un’icona nazionale della tragica-comicità politica del paese, al punto da far dimenticare di gran lunga il “Cetto La Qualunque” coniato da Albanese.
La doppia sconfitta di Occhiuto
A livello politico, questa disfatta rappresenta un colpo durissimo per la famiglia Occhiuto. Mario Occhiuto, senatore ed ex sindaco di Cosenza, ha guidato il progetto con un’arroganza politica che si è rivelata letale. Dietro le quinte, il sostegno del governatore Roberto Occhiuto si è dimostrato altrettanto fragile, evidenziando fratture profonde anche all’interno del centrodestra. Non sono mancati i segnali di distacco dai ranghi della stessa coalizione di governo: molti esponenti di Fratelli d’Italia e di altri partiti alleati si sono tenuti prudentemente in disparte, lasciando i fratelli Occhiuto soli davanti al baratro. Questo fallimento è quindi anche un avvertimento politico: l’egemonia di Roberto Occhiuto, apparentemente consolidata, è tutt’altro che immune da fratture interne e dissensi. Il dato del referendum sulla fusione dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero rappresenta un ulteriore segnale dell’appannamento della stella di Roberto Occhiuto, giunto in un momento cruciale: l’annuncio della sua ricandidatura alla presidenza della Regione Calabria. Una ricandidatura che non appare frutto di una strategia consolidata, bensì un ripiego obbligato dal fallimento delle ambizioni nazionali del governatore. Occhiuto, infatti, aveva puntato sulla possibilità di ottenere un ruolo di rilievo all’interno del governo Meloni, ma l’ipotesi è definitivamente tramontata. La mancata conquista di una posizione strategica a Roma, unita alla crescente difficoltà di controllare le dinamiche interne a Forza Italia, ha costretto Occhiuto a rimanere ancorato alla Calabria, dove però il suo potere politico mostra segni di progressivo ridimensionamento.
La parabola discendente della sua leadership si intreccia con il rafforzamento di Francesco Cannizzaro, vero vincitore delle ultime elezioni europee, che ha consolidato il suo controllo su Forza Italia, soprattutto nella provincia di Reggio Calabria. Cannizzaro ha raccolto un numero significativo di voti, mentre Occhiuto, anche nella sua roccaforte cosentina, ha registrato un risultato deludente.
Il referendum, in sostanza, si è trasformato in un boomerang politico per i fratelli Occhiuto: ciò che doveva essere un trampolino per il ritorno di Mario Occhiuto come figura centrale in una città unificata si è rivelato una disfatta, erodendo ancora di più il loro spazio politico. Per Roberto Occhiuto, questo indebolimento complica la navigazione verso la conquista della seconda legislatura, con un mare sempre più agitato da frizioni interne al suo partito e dall’emergere di nuovi protagonisti politici.
Questa fase di difficoltà non si limita al piano locale. Il risultato del referendum dimostra che, anche nella città di Cosenza, la forza elettorale degli Occhiuto si è ridimensionata. Forza Italia, infatti, non è riuscita a mobilitare in modo significativo l’elettorato per sostenere il progetto di fusione, confermando una tendenza negativa che potrebbe condizionare anche le prossime sfide elettorali regionali. Il futuro di Roberto Occhiuto appare quindi legato a doppio filo alla capacità di reinventarsi politicamente in un contesto sempre più complesso, dove la sua leadership non sembra più incontrare il consenso unanime che aveva caratterizzato i suoi primi anni da governatore. Viene da chiedersi: perché si indebolisce la leadership degli Occhiuto? È probabile che la città abbia potuto sentirsi tradita da alcune prese di posizione e alcune decisioni incomprensibili. Le scelte infrastrutturali e sanitarie promosse da Mario e Roberto Occhiuto hanno generato una crescente diffidenza tra i cittadini di Cosenza, minando la credibilità dei progetti di unificazione urbana. Un esempio emblematico è la gestione della metropolitana leggera Cosenza-Rende-Unical. Inizialmente sostenuto come strumento per rafforzare l’integrazione dell’area urbana, il progetto è stato successivamente ostacolato, con l’annuncio della sua cancellazione che ha suscitato indignazione tra i residenti.
Analogamente, la questione del nuovo ospedale hub di Cosenza ha visto decisioni controverse. Nonostante l’individuazione dell’area di Vagliolise come sito idoneo, l’iter è stato rallentato da proposte alternative, come quella di costruire l’ospedale vicino alla facoltà di Medicina dell’Università della Calabria, avanzata dal presidente Roberto Occhiuto. Queste incertezze hanno ritardato la realizzazione di una struttura sanitaria essenziale, alimentando il malcontento tra i cittadini.
Tali contraddizioni sono percepite come autodistruttive e irrispettose nei confronti del nucleo storico della città, contribuendo a una crescente sfiducia verso la leadership degli Occhiuto. La mancata coerenza tra la visione di una città unificata e le azioni concrete ha rafforzato l’immagine di una classe dirigente incapace di realizzare progetti strategici per il territorio.
Un centrosinistra ostaggio delle sue contraddizioni
Non meno gravi sono le responsabilità del centrosinistra. Il Partito Democratico, ormai incapace di costruire un’opposizione credibile in Calabria, si è mostrato ancora una volta prigioniero delle sue logiche interne. La gestione della vicenda fusione è stata un capolavoro di ambiguità: mentre formalmente il PD si schierava per il sì, alcune delle sue figure più influenti – da Nicola Adamo a Luigi Incarnato – lavoravano dietro le quinte per sabotare il progetto. Questa doppiezza non solo ha influito sul risultato finale, ma ha prodotto macerie politiche all’interno dello stesso partito. Il segretario cosentino Vittorio Pecoraro, bersaglio delle manovre interne di Adamo, esce ulteriormente indebolito. Anche Giacomo Mancini, che nutriva l’ambizione di guidare una città metropolitana unificata, è rimasto vittima di questo gioco di potere, con un risultato umiliante per le sue prospettive future. Il segretario regionale del PD, Nicola Irto, ha adottato un atteggiamento di distacco rispetto alle dinamiche degenerative all’interno del partito, evitando di affrontare le problematiche interne e lasciando che le divisioni si approfondissero. Questa mancanza di intervento ha permesso a figure come Nicola Adamo di continuare a esercitare un’influenza negativa, focalizzandosi più sulla collocazione personale e “familiare” nelle istituzioni che sulle prospettive del centrosinistra e della regione.
In questo contesto, gli unici vincitori sono il sindaco di Castrolibero, Orlandino Greco, e l’ex sindaco di Rende, Sandro Principe. Greco si è battuto senza infingimenti per il “no”, ottenendo un sostegno massiccio dai suoi concittadini. Principe, dato più volte per politicamente finito, ha dimostrato una lucidità politica che manca ai dirigenti del PD, contribuendo in modo determinante alla vittoria del “no” a Rende.
Il PD calabrese, invece di capitalizzare sulla sconfitta dei fratelli Occhiuto, dunque, si è ritrovato a condividerne la disfatta, incapace di presentare un’opposizione credibile e coerente. Le lotte interne e la ricerca di posizioni di potere personali hanno prevalso sull’interesse collettivo, portando quel partito a una crisi di rappresentanza e di credibilità.
In conclusione, il referendum ha messo a nudo le fragilità del PD calabrese, evidenziando la necessità di un rinnovamento profondo della classe dirigente e di una ritrovata coerenza politica, indispensabile per riconquistare la fiducia degli elettori e svolgere efficacemente il ruolo di opposizione.
Una classe dirigente distante e autoreferenziale
Il dato più preoccupante che emerge da questa vicenda è lo scollamento profondo tra la politica – sia a destra che a sinistra – e le comunità che dovrebbe rappresentare. Tutte le forze politiche, i sindacati, le associazioni di categoria e i corpi intermedi si erano schierati per il sì. Eppure, il popolo ha risposto con un dissenso travolgente, che va oltre il progetto in sé: è una sfiducia generalizzata nei confronti di una classe dirigente autoreferenziale, incapace di comprendere le reali priorità dei cittadini.
Questo risultato non è solo una bocciatura del progetto di fusione, ma un segnale di pericolo per la tenuta democratica della nostra comunità. Quando i cittadini rifiutano in massa le indicazioni dei corpi intermedi e delle istituzioni, si apre un vuoto di rappresentanza che rischia di essere occupato da populismi e derive autoritarie.
Un’occasione persa e un monitoraggio per il futuro
Il fallimento della fusione non è solo il naufragio di un progetto amministrativo, ma la certificazione del fallimento di una classe politica che, da anni, governa senza visione, senza dialogo e senza un reale contatto con il territorio. Tanto il centrodestra degli Occhiuto quanto il centrosinistra di Adamo e Incarnato e Bervacqua portano su di sé il peso di questa sconfitta.
La lezione che emerge è chiara: la politica calabrese deve cambiare rotta, smettendo di imporre dall’alto progetti e decisioni calate su un territorio che merita rispetto, ascolto e partecipazione. Se questa classe dirigente continuerà a ignorare il messaggio lanciato dalle urne, il rischio sarà quello di allontanare sempre più i cittadini dalla politica e dalla democrazia.