In tutte le indagini più delicate della Magistratura e non solo, anche quelle che riguardano la sicurezza dello Stato, lo strumento intercettazioni oggi risulta centrale. Soprattutto relativamente alle grandi inchieste antimafia. La tecnologia anno dopo anno ha messo nelle mani degli investigatori strumenti invasivi da far tremare le vene dei polsi. Strumenti che da tempo ormai sono oggetti di una valutazione controversa non solo nel contesto della Magistratura ma anche sul piano del dibattito politico. Il nocciolo della questione è il rischio che di tali strumenti si possa abusare. Tra i più controversi metodi di intercettazione ci sono, da un po’ di tempo, quello del Trojan o per meglio dire dell’intercettazione telematica. Lo strumento è arrivato alla ribalta attraverso le intercettazioni a Luca Palamara ex presidente della ANM e membro del CSM. Al punto che l’avvocato Luigi Panella, difensore di un altro politico e magistrato coinvolto nell’indagine, Cosimo Ferri, è arrivato a sostenere che “i dati registrati dal trojan possono essere tecnicamente accessibili, copiati e modificati «da parte di soggetti privati su server da loro gestiti». Il difensore voleva sostanzialmente evidenziare che la possibilità di un depistaggio nel caso Palamara potrebbe essere molto plausibile, una ipotesi che dovrebbe far saltare tutti sulla sedia perché a rischio ci sarebbe «la democrazia». Una ipotesi che l’avvocato Panella ha sostenuto in Commissione Giustizia al Senato, davanti alla sezione disciplinare del Csm e nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul tema delle intercettazioni. Ipotesi inquietante quella dell’avvocato Panella.
Chi intercetta?
Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo alla gestione delle intercettazioni nelle sue articolate definizioni e dei server finalizzati a queste attività? Chi si occupa materialmente della manipolazione di questo delicato settore? E cioè di intercettare i telefoni, piazzare le microspie o apparati informatici (trojan ecc.), facendosi carico poi del riversamento dei dati raccolti? Sono aziende specializzate, certificate e selezionate dal ministero della Giustizia, verrebbe da dire. Purtroppo, non è così. La realtà è molto ma molto più inquietante e paradossale, come ha evidenziato la giornalista Milena Gabanelli in una delle sue inchieste sul tema. Le società che si occupano di questa materia, sono aziende private talvolta con un management di livello, ma anche senza dipendenti, proprietarie dei software oppure solo locatarie, con azionisti noti o con prestanome, tipo la moglie di qualche poliziotto o finanziere. Spesso non al di sopra di ogni sospetto. Ma ne parleremo in seguito.
La più grande società di intercettazioni: RCS
Il business è grande e succulento: Il costo delle intercettazioni è la voce più rilevante delle spese che gli uffici giudiziari mettono in conto allo Stato: 169 milioni su 193 dati 2017, cioè, l’87% del totale della spesa di giustizia.
Le imprese del settore sono 148 con 285 milioni di fatturato e 198 mila «interventi operativi effettuati» annualmente. Le più attrezzate aziende del comparto hanno fatturati tra i 20 e i 30 milioni. Come la Rcs che «opera dal 1993 nel mercato mondiale dei servizi a supporto dell’attività investigativa».
Per la cronaca, ma anche a conferma delle perplessità dell’avvocato Luigi Panella, sul rischio altissimo della manipolazione delle intercettazioni, è appena il caso di ricordare che era di Rcs la famosa intercettazione Fassino-Consorte del 2005 («Abbiamo una banca») non depositata agli atti della Procura, ma portata direttamente ad Arcore dall’ex amministratore delegato della società.
La società viola il segreto e viene premiata
In un paese sano, un’azione del genere non solo sarebbe stata punita severamente, ma la società in questione, sarebbe stata radiata e interdetta dall’esercizio di questa attività, un po’ come fanno i PM, che fanno a gara ad interdire prima ancora di qualsiasi condanna, professionisti, società, manager e aziende. E tuttavia, il nostro non è un paese sano, è una allegra Repubblica delle banane nel quale il principio dei due pesi e delle due misure cresce esponenzialmente in ogni settore della vita pubblica. RCS, infatti continua a farla da padrone nelle maggiori Procure del paese, con il bene placito dei super Procuratori antimafia. Tra le procure dove non esiste concorrenza per la RCS, veleggia la procura di Catanzaro e Reggio Calabria, entrambi titolari di funzione distrettuale antimafia.
La mani sui server
RCS è la società che ha gestito i server presso le due procure distrettuali calabresi, sembrerebbe che, da qualche anno, operano senza che sia stata espletata una gara e, dunque, in regime di prorogatio. È appena il caso di ricordare che proprio RCS, è la società che ha gestito le grandi operazioni targate Gratteri in capo alla Proccura di Catanzaro, tra le quali Rinascita Scott, Lande desolate, che ha visto convolto l’ex presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, e tante altre note e meno note. Nei dibattimenti di varie operazioni oggi a processo, sono state fatte rilevare nel corso della discussione processuale diverse manipolazioni e anomalie nella gestione delle intercettazioni telematiche. Anomalie che necessitano di essere verificate e riscontrate, per comprendere da cosa e da chi sono state determinate. La possibilità, infatti, che tali anomalie siano la conseguenza di azioni deliberate da parte di qualche dipendente di RCS, non è assolutamente da escludere, anche alla luce anche dell’enorme business economico costituito da budget di diversi milioni di euro. E, d’altronde che il sistema, da questo punto di vista, possa presentare qualche falla, lo si evince dal fatto che, per esempio, un tecnico della provincia di Reggio Calabria che la vora con RCS, risulterebbe indagato in un procedimento penale della Procura della città dello Stretto e, nonostante ciò, continua come se niente fosse, a gestire dati sensibili e le attività delegate dalle Procure e relative indagini delicatissime e riservatissime.
Alla luce di ciò, il nostro pensiero ritorna alla indagine su Luca Palamara e alla denuncia dell’avvocato Panella dell’ex parlamentare Cosimo Ferri, relativa alla pericolosità delle gestioni delle intercettazioni telematiche. Basta leggere il contenuto di una consulenza tecnica dell’ingegner Lelio Della Pietra, per non dormire sonni tranquilli, in questa consulenza, l’informatico forense spiega come “i files di log (cioè i files che rappresentano la registrazione sequenziale e cronologica delle operazioni effettuate da un sistema informatico) relativi alle intercettazioni fornite da Rcs alla procura di Perugia nel caso Palamara siano stati «verosimilmente alterati da interventi umani, tra l’altro, proprio con riferimento alle captazioni dei giorni 8, 9 e 10 maggio 2019»”.