Quando l’osso è avvelenato, ma i cagnolini ringhiano lo stesso
Ci voleva la limpida e meticolosa ricostruzione dell’avvocato Francesco Iacopino, presidente della Camera Penale di Catanzaro, per fare carta straccia delle allusioni che nei giorni scorsi hanno preso a circolare, come solito, in una parte della stampa addomesticata e sempre pronta a raccogliere il fango che piove dalla finestra del Principe di Napoli. Sì, proprio quei giornalisti — e lo sappiamo bene chi sono — che stazionano come cagnolini davanti alla reggia in attesa dell’ennesimo osso avvelenato. E appena ricevuto, lo portano in giro in trionfo, felici, senza masticarlo nemmeno. Come se il compito del giornalismo fosse quello di amplificare, non di capire.
E invece la verità va detta, documentata, difesa. Per questo è fondamentale riproporre integralmente l’intervento di Francesco Iacopino, pubblicato su Il Riformista, all’interno del supplemento PQM, diretto da Gian Domenico Caiazza, già presidente dell’Unione Camere Penali Italiane. Un testo che smonta pezzo per pezzo la narrazione tossica costruita attorno all’inchiesta Lande Desolate, che ha travolto — ingiustamente — Mario Oliverio, già Presidente della Regione Calabria. Parliamo di una vicenda che ha stravolto un’esperienza politica e umana sulla base del nulla. Letteralmente. (Pa.Mo.)
Di Francesco Iacopino*
Lande Desolate, la fake investigation che ha rovinato l’ex governatore Oliverio: il chiaro pregiudizio accusatorio e il non ruolo del Gip
Com’è possibile accettare una tale approssimazione?
Per catturare le prime pagine dei giornali nazionali, cosa c’è di meglio di una pomposa “Fake Investigation”? Nasce un anno prima della scadenza della legislatura l’operazione “Lande Desolate”, che colpirà frontalmente l’allora Presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio. È l’alba del 17 dicembre 2018. Il Presidente sta per uscire di casa. Direzione Roma. Ad attenderlo la Ministra della Salute Giulia Grillo per affrontare la critica e cronica situazione della sanità in Calabria.
L’arresto di Oliverio: la fake news virale
Ma i programmi della giornata prenderanno una piega diversa. Ne sono triste segno premonitore la sfilza di telefonate da un “numero privato” a cui non risponde. Uscito di casa per andare in stazione, fuori dal cancello si trova davanti le macchine della Guardia di Finanza ad aspettarlo. Non fa in tempo a ricevere la notifica della misura cautelare dell’obbligo di dimora nella sua casa di San Giovanni in Fiore, che parte da un quotidiano calabrese un pezzo in cui si lancia la falsa notizia dei suoi arresti domiciliari per aver commesso il delitto di abuso d’ufficio con l’aggravante del metodo mafioso.
I media nazionali, ricevuta la fake news – non corrispondono al vero né la misura detentiva inflitta, né quella odiosa aggravante – si danno un gran da fare a divulgarla senza verificare se l’informazione sia corretta; in fondo, si tratta di una narrativa coerente con la proiezione iconica della Calabria.
A far notizia, infatti, non tanto il reato ipotizzato, ma gli arresti e il metodo mafioso. Insomma ciò che non era. Non importa se ad Oliverio veniva contestato esclusivamente il reato di abuso d’ufficio (oggi depenalizzato) e niente più. Non importa capire se il metodo mafioso era una bufala, o una trovata per generare scalpore mediatico. Non importa se la misura inflitta era l’obbligo di dimora nel suo comune di residenza. Gli arresti domiciliari si prestavano perfettamente per rendere la notizia più gustosa e roboante. La verità era altrove.
Oggetto di indagine, gli impianti di risalita delle piste da sci in Sila, a Lorica. Un’opera importante per lo sviluppo di quel territorio, la cui gara d’appalto era stata bandita nella vigenza della precedente legislatura, ben prima dell’insediamento alla guida della Regione di Oliverio. Il Presidente prende il lavoro portato avanti dai suoi predecessori e cerca di completarlo, evitando lo sperpero di fondi pubblici.
In questa operazione, l’accusa è pesante: essersi impegnato personalmente a far avere alla ditta esecutrice dell’impianto di sci un finanziamento integrativo di 4,2 milioni di euro circa per opere complementari, in realtà mai elargito dalla Regione, chiedendo in cambio un “favore” all’impresa, per mero calcolo politico. L’obiettivo: rallentare i lavori su una piazza di Cosenza, trattandosi di un’opera pubblica di alto valore “simbolico”, realizzata dall’amministrazione di centrodestra, guidata dal sindaco Occhiuto.
Intercettato per 4 anni
Un’accusa subito spedita al mittente. La sera stessa del 17 dicembre 2018 Oliverio reagisce duramente su Rai News 24. Parla con forza, risoluto e con indignazione, di atti incompleti, di indagine condotta in modo grossolano (la delibera incriminata era stata acquisita al fascicolo senza le pagine 2 e 4, presenti sull’originale), insomma, di una vicenda grottesca e kafkiana. Ma vi è di più. Dalla lettura degli atti di indagine viene fuori che il telefono del Presidente era stato messo sotto controllo già quattro anni prima, dal 24 novembre 2014, giorno successivo alla sua elezione.

Altro grande tema, sul quale l’euforia collettiva non lascia spazio alla ragione pubblica. Se sia accettabile in un sistema civile, essere sottoposti per anni – sostanzialmente senza controllo, visto l’epilogo della vicenda – all’ascolto del “Grande Fratello” investigativo.
Oliverio presenta istanza al Tribunale del riesame, ma con esito negativo. Occorrerà ricorrere ai Giudici Supremi. E in Cassazione, il 20 marzo 2019, sarà lo stesso Procuratore Generale a definire l’obbligo di dimora una misura abnorme, condividendo la necessità che la misura cautelare sia annullata. Ovviamente nello stesso senso si pone la difesa che ha presentato il ricorso. L’esito va nella direzione liberatoria.
Dopo tre mesi di confino, la Corte di Cassazione annulla il provvedimento restrittivo, cassando l’ordinanza territoriale “senza rinvio”. Gli addetti ai lavori sanno bene che si tratta di pronuncia tanto rara quanto netta. Così come nette e trancianti sono le motivazioni espresse sulle modalità di esercizio del potere da parte della magistratura locale.
Il chiaro pregiudizio accusatorio
Senza giri di parole, i Giudici di Piazza Cavour stigmatizzano il “chiaro pregiudizio accusatorio” che aveva deformato le lenti investigative e, ancor di più, condizionato il Giudicante nell’accogliere la mozione cautelare nei confronti di Oliverio.
La vicenda mette in luce, senza sconti, la mancanza di “filtro” e di “autonoma valutazione” da parte del GIP rispetto alle richieste dell’accusa. È, questo, un altro momento di crisi del sistema, uno degli anelli della catena del procedimento penale che più frequentemente si inceppa, generando vittime innocenti ingoiate dal tritacarne mediatico giudiziario.
La severità delle motivazioni censorie della Cassazione è pesante. L’inchiesta si è rivelata un flop, con danni diretti e collaterali enormi, visto che ha causato un terremoto politico e un ribaltamento di una Giunta regionale e di una maggioranza democraticamente eletta. Un vero disastro.
La fragilità dell’accusa è tale che Oliverio opta per il rito abbreviato. Sarà assolto dal GUP del Tribunale di Catanzaro con la formula più ampia: “Il fatto non sussiste”. La Procura non farà neppure appello.
Com’è possibile, ci si chiede, accettare una tale approssimazione?
Com’è possibile sospendere la vita di una persona e il percorso della democrazia con un raccolto indiziario incapace di superare finanche la soglia della gravità, primo gradino necessario per sostenere una richiesta cautelare?
L’inchiesta Lande Desolate si è rivelata un bluff a dir poco Deso-Lan(t)e.
E la democrazia ipotecata da un “chiaro pregiudizio accusatorio”.
*presidente Camera Penale Cantafora dí Catanzaro