È morto un gigante.
C’è un silenzio che oggi fa più rumore di mille urla. È il silenzio che lascia la morte di Papa Francesco. Un vuoto immenso. Un crollo sordo nella coscienza di un’umanità già smarrita.
È scomparsa la voce più limpida, più coraggiosa, più scandalosamente autentica che abbiamo avuto nel nostro tempo.
Quella voce che si è alzata fino all’ultimo giorno, che non si è mai piegata, mai zittita, mai compromessa.
Francesco ha detto la verità. E ha pagato il prezzo.
L’ultima grande parola, l’ultimo grido consegnato all’umanità, è rimasto inciso nella carne viva di questo mondo ferito:
“Fermatevi.”
Un appello rivolto a tutti i belligeranti, ai macellai del nostro tempo, ai signori della guerra e ai burattinai del potere. Un grido lanciato non da una sala ovattata, ma da un uomo che aveva scelto il nome di un povero, Francesco, e che in quel nome ha vissuto, ha combattuto, ha sofferto.
È morto un Papa scomodo, e per questo un Papa vero.
Perché ha osato parlare contro i muri, contro i razzismi, contro le deportazioni mascherate da emergenze, ma che restano deportazioni.
Ha messo il dito nella piaga di un’Europa infame, che si gira dall’altra parte mentre i bambini muoiono nel Mediterraneo.
Ha denunciato il ritorno di parole che credevamo sepolte tra le rovine del Novecento: “supremazia”, “etnia”, “ordine”, “dominio.”
Ha indicato la strada con i gesti, non con la retorica: lavando i piedi ai carcerati, abbracciando i migranti, chinandosi sulle periferie del mondo.

Lo hanno insultato. Dileggiato. Accusato di aver “tradito” la Chiesa perché non portava le scarpe giuste, perché parlava troppo di misericordia e troppo poco di dottrina.
Ma Francesco era la dottrina.
Era il Vangelo incarnato, l’esempio che mette a disagio i benpensanti, i clericali di palazzo, i tradizionalisti impagliati che confondono la fede con le candele d’argento.
E lo hanno accusato anche di peggio: di aver aperto troppo.
Di aver teso la mano al mondo LGBTQ+, ai gay, a chi per secoli è stato escluso.
Di aver “distorto la tradizione della famiglia”.
Ma quale tradizione? Quella brandita come una clava da una destra ipocrita, che predica valori e poi li calpesta?
Le grandi cazzate di un tradizionalismo inetto, senz’anima, senza umanità.
Ma che ce ne frega a noi di come è vestito il Papa?

A noi importava che aprisse le braccia.
Agli uomini, alle donne, ai dimenticati. A chi è stato giudicato, respinto, allontanato. Anche a loro ha saputo parlare. Con tenerezza. Con verità.
Siamo stufi di chi continua a evocare Dio, Patria, Famiglia per alimentare la paura, per costruire muri, per fare propaganda.
Dov’erano questi valori quando si chiudevano i porti? Quando si lasciavano i bambini in mare?
Papa Francesco è stato anche un uomo duro, imperterrito, integerrimo.
Ha sbattuto fuori qualche cardinale dagli appartamenti dorati. Ha colpito la corruzione nelle alte sfere della Curia.
E cosa doveva fare, se non ciò che fece Cristo con i mercanti nel Tempio?
È stato il rappresentante autentico della parola evangelica.
Ha tolto la polvere dalla croce. Ha levato i veli d’oro dal Vangelo.
Ha riportato la Chiesa alla sua essenza: povera, umile, radicale.
Ma non tutti hanno accettato questa rivoluzione.
Un pezzo delle gerarchie ecclesiali, se non apertamente, ha cercato in ogni modo di minarne la legittimità.
Hanno parlato attraverso teologi, studiosi, persino cronisti come Cappozzo, che hanno messo in dubbio la sua elezione, insinuando che non fosse nemmeno Papa.
Hanno torturato per mesi le parole di Benedetto XVI, cercando un appiglio, un equivoco, una piega che delegittimasse Francesco.
Ne abbiamo sentite di cotte e di crude. Di assurdità irrazionali. Di idiozie fuori da ogni logica.
Ma tutto questo dimostra solo una cosa: questo Papa ha colpito nel segno.
Ha rotto equilibri secolari. Ha spaventato i palazzi. Ha rimesso Cristo al centro.
È diventato il punto di riferimento di milioni di giovani.
Quelli che rifiutano la guerra.
Quelli che lottano per il clima.
Quelli che credono ancora nella giustizia, nella cura, nell’ambiente, nella solidarietà.
Quando Francesco ha prestato la sua voce ai popoli indigeni, ai contadini, ai dimenticati del pianeta, ha fatto teologia vera. Ha trasformato l’enciclica in carne viva.
Oggi quella voce si è spenta.

E ci mancherà.
Ci mancherà come una stella nella notte, nel momento più fragile, più buio.
Guerre ovunque. Disumanità ovunque. Cinismo ovunque.
E una Chiesa che ora si trova davanti a un bivio:
seguire il solco di Francesco, o tornare nel chiuso delle sagrestie, tra incensi e paura.
Chi prenderà il timone?
Chi avrà il coraggio di non tradire questa eredità?
Chi saprà continuare a servire, invece di dominare?
Francesco ci lascia una strada. Una direzione. Un’esortazione.
Tocca a noi non spegnere quella luce.
Perché quando dimenticheremo i poveri, quando torneremo indifferenti davanti ai morti in mare, quando ci sembrerà normale l’odio, la guerra, il disprezzo del diverso,
quella voce ci verrà a cercare.
E ci interrogherà. E ci farà vergognare.
È morto un gigante.
È morto il Papa degli ultimi.
Ma la sua voce – quella sì – continuerà a camminarci accanto.
E allora, come è scritto nel Vangelo di Giovanni: «Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.»
(Giovanni 13,1)