Eravamo già nel tardo pomeriggio di ieri quando l’Ansa ha battuto la notizia della sentenza relativa all’operazione “Chirone”. Il lancio aveva questo titolo: “Sospette infiltrazioni cosca in Asp, 6 assolti e 6 condannati”. Fine della storia. Nel sottotitolo, invece, sobrio sobrio, quasi sibillino, la maggiore agenzia di comunicazione del Paese scrive che il “Tribunale di Palmi fa cadere l’associazione mafiosa per tutti”. La notizia bomba avrebbe dovuto essere questa, anche perchè, questa operazione fu strombazzata come un’operazione antindrangheta ai quattro venti. Eppure, i grandi giornalisti, l’hanno fatta passare come una “notiziola senza importanza”.
La stampa malata
E, d’altronde, cosa ci possiamo aspettare, in un contesto ormai tossico. Un noto manager sanitario, che qualche anno fa si ritrovò indagato per gli stessi reati dalla Procura di Catanzaro e assolto qualche giorno fa, avuta notizia della propria assoluzione, ha chiamato un “autorevole” collega del sevizio pubblico, per chiedergli lo stesso spazio mediatico per la sua riabilitazione che gli avevano dedicato per l’arresto, e questi gli risponde: “a chi vuole che interessi il pronunciamento di Appello che la assolve per fatti avvenuti 6 anni fa?”. Roba da prendere il tesserino da giornalista, e buttarlo nel primo cassonetto della spazzatura. Ecco, se qualcuno vuole toccare e vedere come San Tommaso, la malattia, ormai endemica, dell’alleanza perversa tra una certa stampa e una certa magistratura, da quel titolo di agenzia o dalla risposta del noto collega del servizio pubblico, al poveretto arrestato e poi assolto, se ne intravedono tutti i sintomi. In una nazione normale e con una stampa normale, questa sarebbe stata la notizia principale, cioè a dire che, l’inchiesta “Chirone” è miseramente naufragata al giudizio di primo grado. Ma noi non siamo una nazione normale. Da noi, la stampa, particolarmente in Calabria, è profondamente subalterna ai pubblici ministeri e, anche di fronte a vere e proprie bancarotte investigative, come questa, i cronisti giudiziari hanno la funzione di sentinelle della perenne rivoluzione giudiziaria in corso dal ’92, hanno cioè, la funzione di salvare la faccia a quei PM che, ogni giorno, ci consegnano inchieste demolite dalle Corti Giudicanti.

Per coloro che hanno la memoria corta, vorrei ricordare che cosa fu, l’inchiesta Chirone: 14 misure cautelari emesse dal gip di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione Chirone, l’indagine dei Carabinieri del Ros e coordinata dalla DDA diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, verteva sui presunti condizionamenti della cosca Piromalli sull’Asp di Reggio Calabria. Delle 14 misure concesse dal gip, sei furono di custodia cautelare in carcere, sette degli arresti domiciliari e un obbligo di dimora.
Nell’operazione Chirone sono stati condannati meno del 50% degli imputati. Cioè 6 su 14, e ovviamente non sono stati condannati per reati mafiosi. Ciò significa che la maggioranza degli indagati erano innocenti. E i colpevoli? Condannati per cosa? Visto che è caduta l’associazione mafiosa?
Facciamo un passo indietro per capire di cosa stiamo parlando. Siamo a Palmi e parte la solita operazione antindrangheta in grande stile, uomini e mezzi in abbondanza, titoli retorici: “colpo alle cosche e ai colletti bianchi” ecc. ecc., mancava solo la musica di Roky. Il cliché è sempre lo stesso.
Si era addirittura scomodato il comandante dei ROS a prestare il fianco alla pomposa conferenza stampa in epoca Covid dei PM Pantano e Paci (subito promossi e trasferiti dopo l’operazione). Il tutto con la supervisione del Procuratore Bombardieri.
Poi inizia la raffica delle congratulazioni della politica. Una liturgia ipocrita che si ripete da anni. Applausi da parte di tutti. Dal sindaco di Gioia Tauro che preannunciò la costituzione di parte civile nel processo (richieste risarcitorie respinte in abbreviato e in ordinario). E poi il sindaco di Polistena, i Sindacati, il Presidente f.f. della Calabria dell’epoca, Nino Spirlì, il quale così commentava a caldo: «Il condizionamento della mafia, dei poteri occulti deviati, di una mala politica che di questi poteri e di questa ‘ndrangheta si è ingrassata è evidente, e questi fatti lo confermano, soprattutto nel mondo della sanità», gran risalto per giorni sui telegiornali nazionali. Carlo Tansi affermava: “l’operazione Chirone libera il settore della sanità dalla morsa della ‘ndrangheta”. Ora ci si chiede: chi erano questi ‘ndranghetisti coinvolti o quale cosca questi soggetti avrebbero agevolato?
Unico collegamento con l’universo Piromalli tale Girolamo Fabiano Tripodi (medico di base e proprietario del laboratorio analisi Minerva) nipote dello storico boss Girolamo Piromalli (nonno mai conosciuto poiché deceduto prima della nascita dello stesso) presunto “Deus ex machina” dell’azienda di distribuzione di prodotti medicali ed elettromedicali “M.C.T Distribution & Service srl”. Presunto gestore occulto della sanità calabrese, peccato che è risultato essere vessato da parte delle Asl ed Asp di zona (numerosi i suoi decreti ingiuntivi contro le aziende ospedaliere per mancati pagamenti e cessioni di credito ad aziende di factoring) e peccato che, dopo aver venduto le quote, per stessa ammissione della procura con l’azienda “M.C.T Dustribution & Service srl” tale Tripodi non c’entrava proprio un fico secco (richiesta di assoluzione per intestazione fittizia). L’inchiesta subiva un primo ridimensionamento con il giudizio abbreviato! Pioggia di assoluzioni dei presunti medici corrotti e concorrenti esterni per aver agevolato il presunto sodalizio mafioso (Forte, Barillaro, Coco, Romeo, Fiumanó) poi rinviato a giudizio solo per un’ipotesi di corruzione). La maggior parte con richiesta di assoluzione formulata dall’ufficio di Procura stesso (paradossale!). Unica condanna dott. Cuzzocrea a 2 anni per corruzione (non aggravata 416 bis co.1 ) poi ribaltata in appello! Insomma, sin dalle prime battute, della presunta mafiosità manco l’ombra (e per stessa ammissione della procura che in abbreviato e nelle richieste ha sempre escluso l’aggravante).
Sfiora il dramma, l’imputazione di Riefolo Mario Vincenzo. Padre di Riefolo Federico, socio della MCT insieme a Madaffari Antonino,Cernuto Giuseppe,Tripodi Fabiano e Natale Massimo (di Reggio Calabria ma tenuto fuori dall’inchiesta nonostante anch’esso avesse acquistato le quote dal “mafioso” Tripodi). Il quale acquista delle quote da Fabiano Tripodi (da qui sostanzialmente l’accusa di essere un prestanome). Accusato insieme ad altri due padri (Cernuto Antonino e Madaffari Franco) di essere i gestori occulti della MCT (società dei figli). I figli erano i prestanome dei padri (secondo l’accusa cervellotica). Facevano solo i padri, consigliando i figli giovani imprenditori inesperti.
La storia di Mario Riefolo
In tutte le inchieste antindrangheta fuffa, c’è sempre un paradosso. Merita un inciso a parte, la storia di Riefolo Mario Vincenzo, negli anni ’90, infatti, era stato riconosciuto vittima di ‘Ndrangheta insieme al proprio socio Sorrenti Angelo nel famosissimo processo “Tirreno” (Pm Pennisi) il quale per la prima volta registrava la denuncia di due imprenditori gioiesi che avevano avuto il coraggio di denunciare i propri estortori (estorsione di 200.000 lire Fininvest/Cemel).
Grazie alla loro testimonianza per la prima volta si è potuto decretare con certezza assoluta (condanne definitive) che a Gioia Tauro esisteva una cosca di ‘Ndrangheta denominata Piromalli-Molè. E all’epoca sparavano e uccidevano per un nonnulla. E sparavano pure sui Carabinieri (è cronaca). Mica come oggi signori, dove è molto più facile fare l’imprenditore antimafia!
Mario Riefolo, dunque, per anni è stato sottoposto a tutela con scorta armata. Nel mondo alla rovescia dell’antindrangheta contemporanea però, curiosamente, dopo 30 anni, gli è stato presentato un conto salato e amaro. Sbattuto in galera per 19 mesi (a contatto con gente legata ai suoi estortori e quindi in grave pericolo) ed altri 13 mesi ai domiciliari. Gravemente malato, monorene (l’altro asportato per tumore) con insufficienza renale cronica e progressiva,aterosclerico,polmone compromesso da precedente rimozione tumore. Terzo tumore alla prostata con relativa asportazione (scoperto appena scarcerato, dopo diverse sottovalutazioni in regime carcerario). In carcere,in un modo o nell’altro, ha rischiato di rimetterci le penne. Per due volte negata la scarcerazione di incompatibilità col sistema carcerario, poi accolta al terzo tentativo con perizia inequivocabile del perito del Tribunale. Gli è stata anche negata la possibilità di partecipare al banchetto di nozze del figlio al “mafioso” Riefolo.
Si tenga conto che, il signor Riefolo, non aveva mai avuto un fermo di polizia, mai un contatto con esponenti della criminalità. Nulla di nulla. Prima accusato di essere un mafioso, poi il PM ci ha ripensato e ha riqualificato il reato in sede di requisitoria come “concorrente esterno” e chiedendo 11 anni di condanna. Alla fine condannato a 2 anni e 6 mesi per associazione semplice, finalizzata alla corruzione e non aggravata dal 416 bis co.1. Insomma della mafiosità si sono perse le tracce! E siamo solo in primo grado. Eppure, nel leggere le carte ci sono contenute cose clamorose, nelle intercettazioni, per esempio, proprio Riefolo, diceva che se si fosse avvicinato qualcuno a chiedere la mazzetta andava a denunciare dai Carabinieri! “Perché non so fare altro” diceva! Paradossale.


Il processo ad un certo punto ha avuto una sterzata. Il PM, infatti, ha inserito nuovi capi d’imputazione per il dott. MAMONE. Emblematico il capo N) per un’ipotesi corruttiva per aver avuto da parte di MCT l’uso sporadico di una autovettura aziendale BMW serie 7 (fatta passare per “auto di lusso, in realtà era una bagnaruola del 2005 con 380.000 KM del valore di 2.500 euro e di un telefonino….poi rivelatosi uno smartwatch cinese da 9 dollari). Questa “aggiunta” oggi ha portato a giustificare le condanne di Madaffari Antonino, Riefolo Federico e Giuseppe Cernuto (tutti ragazzi giovani, inesperti ed incensurati). Curioso no? Tutte le altre ipotesi di corruzione sono crollate e seppellite (dall’abbreviato e dalle assoluzioni del dott. Fiumanò e della sig.ra La Face impiegata Asp la quale avrebbe accettato una borsetta Michael Korks del valore di 89 euro scarsa….fatta passare per borsa di gran lusso e di un cestino natalizio). Gli ingredienti dello scoop c’erano tutti: Fabiano Tripodi per la parentela e Riefolo Mario Vincenzo, l’ex testimone di giustizia ora “infedele”. Peccato che il clamore, spesso è fumo negli occhi dell’opinione pubblico. Quando il fumo si dirada rimane il dolore e la sofferenza delle persone coinvolte e delle loro famiglie. L’operazione “Chirone” alla fine si lascia dietro un cumulo di macerie: un’azienda con fatturati esigui, ma in crescita e che importava prodotti unici ed infungibili che dava un prodotto migliore a prezzi minori, distrutta e spazzata via dal mercato (sequestrata anche dalle Misure di Prevenzione). Il futuro di ragazzi compromesso. Famiglie perbene umiliate e distrutte (sequestrati anche i conto correnti dei congiunti ). Ora la Corte ha cancellato la mafiosità. Chi pagherà per tutto questo disastro? A chi dava fastidio MCT? La domanda è d’obbligo, anche se, come sempre nessuno risponderà. Il problema di oggi è tutt’altro: riabilitare le figure delle persone coinvolte e risultate innocenti, a cominciare dal sig. Riefolo, tanto osannato negli anni ’90 e poi umiliato da un’inchiesta assurda e senza fondamento.
Il Teorema Chirione si è sbriciolato
Il teorema CHIRONE è crollato! Sconfessato dall’Ufficio stesso di Procura in sede di requisitoria. Questo avrebbe dovuto essere il titolo di tutte le testate ieri pomeriggio. E, per la verità, il “teorema Chirone” era già crollato, allorquando la stessa Procura si era messa a riqualificare l’associazione in concorso esterno, escludendo l’intestazione fittizia di Tripodi!
Scriveva il 22 aprile del 2022, all’indomani della parziale demolizione di questo processo, quando furono assolti i medici arrestati nell’operazione, la collega Francesca Spasiano, de’ “Il Dubbio” : “la riforma della Giustizia contenga l’incontrollabile furia moralizzatrice di alcune frange della magistratura”.
Oggi che una timida riforma è stata accennata, la casta giudiziaria sta facendo ferro e fuoco per sottrarsi a qualsiasi rinnovamento, ciò significa che non riconoscono gli errori e, le malafatte di questa corporazione (leggasi Luca Palamara).
Purtroppo, un tale atteggiamento, è sostenuto da alcune forze politiche che si confermano, ancora una volta, subalterne al giustizialismo che ha distrutto questo paese consegnandolo, nei fatti, al peggior populismo politico e giudiziario. La cosa che sconvolge però, è la cocciutaggine da parte di alcuni PM nell’insistere nel riproporre uno schema accusatorio, anche di fronte a pronunciamenti assolutori evidenti. La vicenda dei medici imputati e arrestati nell’inchiesta Chirone, da questo punto di vista, è emblematica. I medici dell’Asp di Reggio Calabria, infatti, furono arrestati con gravi accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e traffico di influenza illecite con l’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa. Queste accuse furono successivamente annullate dal Tribunale del Riesame per mancanza di gravità indiziaria, determinando la loro assoluzione. Nonostante l’annullamento delle accuse, il pubblico ministero che aveva condotto le indagini preliminari ha continuato a perseguire l’azione penale contro i medici, avanzando la richiesta di rinvio a giudizio. Questo ha trasformato i medici dallo status di indagati a quello di imputati, con tutte le conseguenze devastanti che un’accusa di coinvolgimento con la ‘ndrangheta comporta, indipendentemente dall’esito finale. Essere perseguiti così, significa che il confine tra l’indagine e la “persecuzione” è ormai sottilissimo. Un magistrato non può innamorarsi della propria idea, soprattutto quando altri magistrati mettono in dubbio quei pronunciamenti. E, tuttavia, nell’epoca delle guerre “sante” della legalità a trucco, può succedere anche questo. Ma se anche la stampa si schiera a difendere “l’abuso giudiziario”, per salvare la faccia ai PM d’assalto, la democrazia scricchiola e scricchiola pericolosamente.