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L’occasione persa di Israele per ribaltare la propria narrazione

Dopo decenni in cui la memoria dell’olocausto si è progressivamente diluita, per lasciare spazio ad un Israele aguzzino del popolo palestinese, quel cruento attacco terroristico aveva riacceso la percezione di Israele come popolo eterna vittima di un destino sciagurato

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“Noi con gli israeliani lavoriamo benissimo” – mi disse il palestinese, gestore dell’Hotel Royal di Betlemme dove avevamo dormito – “ci portano turisti che soggiornano e spendono. Pagano meno rispetto agli hotel di Gerusalemme, stanno bene e sono contenti”.  Ma allora tutta questa ostilità? Quel muro? “Guardi” –  mi disse – “lei non immagina quanti palestinesi vanno ogni giorno a lavorare a Gerusalemme. Vengono pagati di meno rispetto alla manodopera israeliana, però con quello che prendono, qui vivono bene. Tutta l’ostilità di cui si parla da decenni è alimentata dai vertici dei nostri Paesi. La gente vuole vivere, lavorare e pregare, ognuno il proprio Dio, in pace. Sono i capi che alimentano la tensione. Se non venisse alimentata l’ostilità tra i nostri popoli, loro non avrebbero più ragion d’essere”. Questa fu la conversazione con il dirigente di quell’hotel dove ci appoggiammo per la notte. Non avevamo dormito molto, perché inquieti esploratori armati di macchine fotografiche non ci eravamo dati pace, avevamo preso un taxi e gli chiedemmo di farci visitare Betlemme “by night”.

Quel muro lungo 730 km

Un conto è saperne dell’esistenza, un conto è trovarselo davanti quel muro lungo 730 Km che separa Israele dalla Palestina. Alto 8 metri tra Gerusalemme e Betla, è interrotto da immense porte di ferro, con check point attrezzati con cavalli di Frisia. Assetto bellico. Era la prima volta che ci capitava di vederlo di persona. Un obbrobrio da tutti i punti di vista, ma i popoli ne hanno fatto una immensa tela su cui disegnare, dipingere e scrivere. Il tassinaro capì lo spirito che ci animava e ci fece fotografare i murales più incredibili. Fu un tour decisamente alternativo, tra discariche, spazzatura e lapidi cimiteriali, in una Betlemme silenziosa, sospesa nella notte, al limitare di un deserto roccioso e rovente che ha fatto la storia. A seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, denominato operazione alluvione Al-Aqsa, che ha portato all’uccisione di 1200 tra civili e militari israeliani e al rapimento di circa 250 persone, Israele ha perso un’occasione storica per ribaltare la propria narrazione. Dopo decenni in cui la memoria dell’olocausto si è progressivamente diluita, per lasciare spazio ad un Israele aguzzino del popolo palestinese, quel cruento attacco terroristico aveva riacceso la percezione di Israele come popolo eterna vittima di un destino sciagurato. E vittime lo sono davvero i morti, i rapiti, ma soprattutto le donne mutilate e abusate fino alla morte. Le donne occidentali, quelle israeliane che ai passaggi di frontiera vedi con o senza divisa, ma con gli anfibi, arruolate, armate di mitra, con pistola al cinturone, sicure e senza velo. Cosa esecranda se vista con occhi islamici ortodossi. Sono diventate loro l’oggetto della peggior crudeltà. L’attacco sferrato da Hamas aveva scosso il mondo intero. Le urla della fanciulla strappata ai suoi affetti; l’anziana caricata e portata via dal kibbutz, senza una reazione; quella foto, premiata all’Università del Missouri, racconta in uno scatto di Shani Louk, la cittadina tedesco-israeliana, caricata su un pick up il 7 ottobre 2023 e trasportata ancora viva con le gambe spezzate che pendono dal cassone, con i piedi dei suoi carnefici sul collo, come di rientro da un safari. E come dopo un safari uno dei suoi assassini, adottandola a simbolo dell’occidente, le sputerà addosso e le taglierà la testa per esporla pubblicamente. Ecco tutto questo aveva riproposto in pochi minuti un popolo israeliano vittima di una persecuzione senza fine. Ma è durato poco quel sentire. Per il Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, quella strage ha rappresentato un’occasione da sfruttare per restare in sella. Miopia politica che dietro ad una ostentazione di forza, nasconde in realtà il disprezzo per il sacrificio di quelle povere vittime ed una formazione intrisa di odio ed intolleranza. Un errore madornale sul piano storico che determina il più osceno dei paradossi: Hamas, responsabile di una strage infame, di supplizi di stampo medievale, passa ora nell’opinione comune come la giusta ribellione del popolo palestinese, ancora una volta vittima.

576.000 persone alla fame. I paesi del BRICS

Ma quando guarda la cartina geografica Netanyahu cosa vede? Allarga un po’ e recupera le proporzioni del suo Paese nel contesto Mediorientale o resta stretto sulla striscia di Gaza? Ora là c’è è un cumulo di macerie. 33.000 palestinesi uccisi. In 5 mesi sono morti più bambini che in tutte le guerre nel mondo negli ultimi 4 anni. 576.000 tra bambini, uomini e donne sono alla fame e per ogni militante di Hamas ucciso se ne arruolano altri dieci. La follia deflagra arrivando a bombardare l’ambasciata iraniana a Damasco. Tutto questo ora grava sul popolo israeliano. Netanyahu sta facendo solo danni. Gioca con le contraddizioni capitalistiche internazionali e spinge il mondo verso il buio di una guerra su larga scala. L’Iran, ci piaccia o no, è entrato a far parte del BRICS.  Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, dal primo gennaio 2024 hanno deciso di espandersi ed annettere Egitto, Etiopia, Argentina, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Iran. I Paesi del gruppo non possono essere considerati tutti delle democrazie compiute. Tuttavia, è con questi interlocutori che l’Occidente deve dialogare. L’Iran è uno dei Paesi con il maggior numero di esecuzioni al mondo. In media, più di dieci persone vengono giustiziate ogni settimana dall’inizio dell’anno. 

E di quanti morti è responsabile ad oggi Netanyahu? 

I BRICS che hanno generalmente evitato pronunciamenti sulle questioni politiche e di sicurezza, in una dichiarazione congiunta, hanno chiesto “una tregua umanitaria immediata, duratura e sostenuta che porti alla cessazione delle ostilità“. Nella sua dichiarazione di apertura del  XV vertice BRICS a Johannesburg il 22 agosto scorso, il sudafricano Ramaphosa, in qualità di presidente per il 2023, ha affermato che le azioni di Israele “sono in chiara violazione del diritto internazionale” e che la “punizione collettiva dei civili palestinesi da parte di Israele è un crimine di guerra […] equivalente al genocidio“. Ramaphosa ha anche affermato che Hamas ha “violato il diritto internazionale e deve essere ritenuto responsabile“. Per il 2024 la presidenza del BRICS è passata alla Russia. Putin. Milioni di persone in Africa, Asia e Medio Oriente, con una pressione demografica che l’Occidente, sprofondato nel suo confortevole egocentrismo neanche si sogna, con una spinta migratoria irrefrenabile, hanno marciato per una “Palestina libera” e chiesto un cessate il fuoco. Stessa cosa stanno facendo centinaia di migliaia di persone nei paesi del blocco occidentale. I popoli la guerra non la vogliono. Lo dicono come possono, anche disegnando murales. Ormai l’opinione pubblica israeliana ha preso atto che il problema è lui: Benjamin Netanyahu. Lui che si oppone strenuamente, ciecamente a una qualsiasi forma di tregua neanche per ragioni umanitarie. Dopo aver ucciso anche i 7 operatori umanitari della ong. americana World Central Kitchen, pur di abbattere qualsiasi cosa si muova a Gaza, confondendo nemici e vittime innocenti, nel delirio più totale bombarda l’ambasciata iraniana a Damasco. Arriverà la reazione, sarà terribile e il popolo israeliano dovrà pagare anche per questo. È ora che Israele ricordi in modo diverso, resetti l’elaborazione della memoria, ripercorra i modi, le strategie ed esca dal vicolo cieco in cui un nuovo folle, che è riuscito ad impossessarsi delle redini di una nazione, gli presenti un altro amaro conto della storia.

*scrittrice

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