Il PM Elio Romano pignora un blogger: 150 mila euro per dei post di 15 anni fa
Succede in Italia, e non in un romanzo distopico: un blogger del Catanzarese, personale ATA in una scuola pubblica, con uno stipendio da 1.200 euro al mese e due figli piccoli a carico, si ritrova pignorato lo stipendio – un quinto ogni mese – per i prossimi cinquanta anni.
A volerlo è Elio Romano, pubblico ministero attualmente in servizio a Palmi, ma noto per il suo ruolo di punta nella Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, dove ha coordinato numerose operazioni, tra cui la controversa inchiesta “Alibante”, di cui la nostra testata si è già occupata.
Quindici anni fa, questo blogger aveva pubblicato alcuni post critici sulla figura e sull’operato del PM Romano, toccando, secondo quanto ci è stato riferito da fonti vicine al Tribunale, anche una vicenda immobiliare che riguardava l’acquisto di un bene da parte del magistrato insieme alla compagna, con il coinvolgimento di un costruttore. I post, oggi non più reperibili online, sarebbero stati giudicati diffamatori in una sentenza civile di primo grado emessa a Salerno verso la fine del 2022.
Una condanna monstre, di quelle che non si sono mai viste nemmeno nei confronti di giornalisti professionisti: 100 mila euro di risarcimento danni, esattamente quanto richiesto dal PM, più spese legali e processuali, che hanno fatto lievitare l’importo finale a 150 mila euro, avviando un pignoramento mobiliare su conto corrente e busta paga.
Una condanna passata in giudicato non per assenza di motivi di merito, ma per impossibilità economica di impugnarla. L’uomo, infatti, non ha potuto affrontare le spese di un ricorso in appello né tantomeno di un eventuale ricorso in Cassazione. Eppure, non esiste alcuna prova che quanto pubblicato fosse falso, e anzi le fonti da noi interpellate sostengono che i fatti raccontati fossero realmente accaduti. Quello che è stato contestato, in sostanza, è l’interpretazione critica dei fatti, ritenuta lesiva dell’onorabilità del magistrato.
Ma a rendere la vicenda ancora più grave e surreale è il contesto: un magistrato inquirente che ottiene un risarcimento di tale entità da un giudice civile della propria città natale, Salerno, e che poi non rinuncia a un centesimo, pretendendo l’integrale esecuzione forzata contro una persona economicamente e socialmente fragile.
Un caso senza precedenti nella storia del giornalismo italiano.
Nel nostro Paese non si ricorda una condanna tanto pesante nemmeno per giornalisti professionisti accusati di diffamazione a mezzo stampa. Men che meno per un semplice blogger, che non pubblica più da tempo e che oggi sopravvive con un salario minimo. Eppure, l’intero apparato giudiziario si è mosso con impressionante severità, fino ad arrivare a una situazione che rasenta l’assurdo: un pignoramento che durerà fino al 2075, quando i bambini che oggi questo padre accudisce saranno adulti, ma lui starà ancora pagando l’offesa arrecata a un uomo di potere.
In un Paese in cui si grida alla censura e al “bavaglio” solo quando a parlare è la politica o quando ad alzare la voce è un cronista noto come Marco Travaglio, colpisce il silenzio assordante dei colleghi giornalisti su un caso tanto grave quanto simbolico.
E allora occorre dirlo con chiarezza: questa non è giustizia. Questo è accanimento.
Un accanimento che dimostra quanto urgente sia una riforma delle norme civili sulla diffamazione, ma soprattutto una radicale revisione delle modalità di giudizio nei procedimenti tra giornalisti (o blogger) e magistrati. Non è pensabile che un giudice civile possa decidere – anche solo inconsciamente – con deferenza nei confronti di un altro magistrato, tanto più se collega o concittadino.
Serve, con urgenza, un giurì d’onore esterno alla corporazione giudiziaria, che possa valutare con equilibrio i limiti della critica e le reali conseguenze di un post, di un articolo, di un’inchiesta. Perché oggi, mentre in molti evocano lo spettro della censura, c’è un uomo che paga col sangue e col futuro dei propri figli l’aver osato scrivere.
E nessuno, davvero nessuno, ha avuto il coraggio di dire che questa è una vergogna.