L’arte di sottrarsi (e di comunicare)
Roberto Occhiuto era atteso come ospite nella trasmissione Perfidia, condotta da Antonella Grippo. La sua partecipazione era stata preannunciata e promossa dai canali editoriali legati alla trasmissione, suscitando legittima attesa per un confronto diretto su un tema che sta segnando, nel bene e nel male, l’attualità politica calabrese: l’inchiesta che lo vede coinvolto.
E invece, nulla. O meglio: un collegamento video fugace, una scusa istituzionale, un pacco — come lo ha definito, senza troppi giri di parole, la stessa Grippo. Il presidente ha chiesto scusa: “Me l’hanno sconsigliato gli avvocati”. Eppure, appena pochi giorni prima, aveva avuto tutto il tempo e la libertà per confezionare un video ufficiale in cui parlava dell’indagine a suo carico.
Grippo, nella sua Perfidia, ha dato conto dell’accaduto con rigore e trasparenza: la registrazione dell’intervista era stata programmata, rinviata più volte, poi confermata. Tutto pronto, tutto concordato. Poi la rinuncia, la spiegazione, il tentativo di cavarsela con garbo. Ma Antonella Grippo non è una da accettare pacchi in silenzio, e ha reagito con lucidità e rabbia, rivendicando il valore di un giornalismo che non si genuflette al potere.
Anche perché la trasmissione non era pensata come una trappola, ma come uno spazio di domande libere. Quelle che, per ora, Occhiuto non ha voluto ascoltare né affrontare.
Eppure, qualche giorno prima, aveva parlato eccome, attraverso un video diffuso sui social. Ma non è affatto vero che quel video fosse pacato e misurato. Al contrario, puntava tutto sull’impatto emotivo: volto contratto, tono grave, stizza e incazzatura ben evidenti, ma — per chi ha un occhio attento alla comunicazione — incanalate in frasi scritte, pensate, progettate a tavolino, altro che spontaneità. Un atto comunicativo studiato, altro che sfogo emotivo.
E soprattutto, in quel video, non ha mai detto — neanche per correttezza istituzionale — di avere fiducia nella magistratura. Una scelta comunicativa precisa, una rinuncia pesata. Ha invertito i termini del racconto: non ha subito la notizia, l’ha fatta deflagrare lui stesso, scegliendo tempi e linguaggio. Chapeau alla sua squadra di comunicatori, va detto, in particolare alla social media manager Rigoni, sempre più centrale nella narrazione del “presidente social”.
Ma se sul piano comunicativo c’è da riconoscere una regia efficace, sul piano politico il messaggio non convince affatto. Anzi, in certi punti si intravede una malafede comunicativa, che diventa quasi sfacciata quando passa per la voce della sua compagna, la sottosegretaria Matilde Siracusano, la quale ha avuto l’ardire di parlare di “bestemmia” di fronte all’associazione tra Occhiuto e un’ipotesi di corruzione.
Un’esagerazione grave. Anche perché questo tipo di indignazione non si è mai visto quando altri calabresi, persone perbene, sono state infangate con accuse ben più pesanti e poi scagionate. Silenzio allora, furore adesso: due pesi, due misure, come sempre.
Quel video è servito a calmare le acque, a spostare il discorso sul piano emozionale e istituzionale, ad anticipare le domande. Ma quando si è trattato di affrontarle davvero, davanti a una giornalista non addomesticata, Occhiuto si è tirato indietro. E l’impressione — più che fondata — è che non abbia voluto confrontarsi a campo libero, preferendo la comfort zone della comunicazione controllata.
Il garantismo a senso unico
L’intero siparietto sarebbe già sufficiente a spiegare molte cose. Ma c’è di più. Grippo, con intelligenza e fermezza, ha toccato un altro nodo centrale: il garantismo a intermittenza. Quel garantismo selettivo che scatta solo per certi volti, per certi amici, per certe stagioni politiche. Un garantismo esibito, invocato, strillato da chi, in altre occasioni, ha fatto della presunzione di colpevolezza una linea editoriale.
Infine — ed è la parte più indecente — dei giornalisti calabresi, quelli storicamente pronti a infilarsi nei faldoni giudiziari altrui, oggi improvvisamente e religiosamente garantisti. Ma solo per Occhiuto. Solo per lui.
Già. Perché la memoria è una brutta bestia. Non cancella, non perdona. E restituisce a ognuno il suono delle sue stesse parole.
Il potere teme la domanda
Alla fine resta l’essenziale: Occhiuto ha preferito non rispondere. Ha preferito il monologo al dialogo. Il video alla domanda. La propaganda alla verifica. La dottoressa Rigoni alla dottoressa Grippo.
E resta il paradosso più bruciante: non è la giustizia che fa paura. È la verità. È la stampa libera. In questa Calabria dove la libertà è diventata merce rara, e dove il potere — come un tempo il re — si concede solo al cortigiano che sa cosa non chiedere.