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Piscopio: Quel funerale negato a Michele D’Amico

L'incredibile disposizione della Questura di Vibo Valentia che ha impedito le esequie di una persona incensurata e che aveva la sola colpa di essere il padre dei due maggiori imputati del processo "Petrol mafie" attualmente pendente in appello. All'anziano signore, stimato da tutti nel piccolo centro vibonese, è stato riservato il trattamento che viene disposto solo per i grandi boss mafiosi

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È il 17 febbraio dell’anno del Signore 2024. A Piscopio, frazione di Vibo Valentia, sono in programma i funerali di un uomo per bene. Un uomo onesto, Michele D’Amico. Sono in programma ma sarebbe meglio dire che sono stati programmati. Programmati e basta. Perché Michele D’Amico, persona stimata e ben voluta da tutti per la sua sconfinata bontà d’animo, è privato dell’accompagnamento delle persone a lui care. Amici, anche semplici conoscenti, sin dal giorno della sua dipartita, il 15 febbraio, si riversano nella sua abitazione per porgere un saluto in quel che si prepara ad essere il suo ultimo viaggio.

La motivazione

Michele D’Amico non può avere un funerale in chiesa per motivi di ordine pubblico. Queste le disposizioni della Questura di Vibo Valentia. La sua colpa ma colpa non è, l’essere il padre di due figli coinvolti nell’inchiesta “Petrol mafie” e per questo sottoposti alle misure restrittive della libertà personale. Due imprenditori che risultavano persino nella “white list” della Prefettura. Sia chiaro che è compito della Magistratura accertare la verità dei fatti e le responsabilità dei reati loro attribuiti. Alla Magistratura e non alla società civile più o meno informata. Non si può non ricordare all’opinione pubblica che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva», per come dispone l’articolo 27 della Costituzione che si apre con il sancire che «la responsabilità penale è personale». E, allora, una domanda: se la responsabilità penale è personale, perché privare un onesto cittadino dall’essere salutato con tanto di celebrazione eucaristica e accompagnamento al cimitero?

Incredulità tra la gente

Una domanda che in tanti si pongono nel giorno stabilito per il suo funerale. Al giungere della notizia, in attesa del trasferimento della salma in chiesa, sui volti dei presenti è visibile una espressione di stupore. Sono increduli. Lo scenario è surreale. Le disposizioni impongono che il feretro sia portato solo al cimitero. L’accompagnamento nel luogo che sarà la sua ultima dimora è un dolore nel dolore. Un funerale nel funerale. Al cimitero possono andare solo i parenti più stretti, strettissimi. I nipoti sono esclusi. Ma non è tutto. I parenti più stretti devono precedere l’arrivo della salma. Al cimitero ci vanno da soli, senza feretro. Il carro funebre si muove dopo. L’immagine è quella di un funerale invertito. Chi accompagna precede la salma. Non sta dietro al feretro per come vuole la tradizione. Chi accompagna sta avanti. Precede il feretro. Non è più accompagnamento nel suo ultimo viaggio. È altro.

Di quale colpa si è macchiato Michele D’Amico per essere sottoposto a questa che alcuni non esitano a definire «umiliazione». La domanda: può uno Stato di diritto privare un cittadino di una degna sepoltura per colpe non sue?

Un uomo dalle molteplici virtù

Sono in tanti a ricordare, anzi a rimarcare, le qualità umane di Michele D’Amico. Ad esaltare le sue virtù. Il suo essere in vita una persona benvoluta da tutti per i suoi garbati modi di fare. Ricordato per essere uomo di fede. Ecco spiegata la ragione per la quale non si riesce a trovare risposta alla domanda sul perché lo stesso è privato di un saluto cristiano e di una solenne sepoltura.

Le forze dell’ordine non possono far altro che dare esecuzione a quella che anche per loro è una disposizione. Gli ordini sono ordini. Non si possono discutere. Con modi garbati i carabinieri spiegano ai familiari quanto disposto. I loro modi garbati sono una carezza nel momento in cui la famiglia subisce un dolore nel dolore. Una sofferenza che si aggiunge a tante sofferenze. Le disposizioni scaturite da motivi di ordine pubblico non sono opinabili ma è altrettanto vero che l’accaduto impone una riflessione umana.

Intanto le modalità con cui la famiglia riceve la notizia, due ore prima della funzione prevista. Funzione religiosa, in chiesa. Già dal giorno prima del funerale gli amici di D’Amico si recano all’abitazione per porgere saluto e condoglianze alla famiglia. Eppure non si fa caso al fatto che se i motivi sono di ordine pubblico questi dovevano esistere anche prima e non solo nel giorno stabilito per il funerale.

I parenti precedono la salma

Nei presenti resta scolpita, per molto tempo, l’immagine surreale con i familiari più stretti che precedono la salma al cimitero, mentre il carro funebre si muove da solo. Ai restanti, parenti e  amici, non resta altro da fare che accompagnare Michele D’Amico con il pensiero. Solo il carro, e nessuno che lo accompagni, per dirla con Pirandello. E’ triste, per non dire altro, constatare che in una terra come la Calabria, dove spesso il sospetto è considerato l’anticamera della verità, si arrivi ad etichettare come mafiosa una famiglia onesta. Etichettata per colpa di una vicenda processuale che vede coinvolti due dei suoi componenti. Coinvolti per la prima volta in una vicenda giudiziaria che non è ancora arrivata a sentenza definitiva. É triste pensare che in Calabria il sospetto sia considerato anticamera della verità. È triste assistere al rito funebre di una persona perbene costretta, nel suo ultimo viaggio, a procedere da solo. Senza nessuno che lo accompagni.

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