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Ponte dello Stretto, espropri: rischio di lucro per le cosche?

Secondo un'indagine giornalistica condotta dal Fatto Quotidiano, ci sarebbe il rischio che gli espropri possano finire nelle mani dei Mancuso, una delle famiglie criminali più note alle procure italiane

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Il progetto definitivo pubblicato dalla Società Stretto di Messina spa, coinvolta nel progetto dell’opera infrastrutturale che collega Calabria e Sicilia attraverso lo Stretto di Messina, prevede la costruzione di un deposito di materiale inerte, per la costruzione di opere edilizie, denominato Cra3, costruito nella zona ”Petto”, in provincia di Vibo Valentia. Si tratta di una grande discarica, capacità: un milione e mezzo di metri cubi. Inoltre, un luogo attiguo sarà adibito a contenere temporaneamente altri 335 mila metri cubi di rifiuti. Quantità di terreno occorrente in totale: 70 mila metri quadrati. Dal documento del progetto si legge che si tratta di «una superficie posta su un rilievo collinare, un tempo utilizzata come cava di inerti per la produzione di calcestruzzo e dei rilevati compresi nelle opere di costruzione del porto di Gioia Tauro». Una superficie di terreno incolto e privo di valore, essendo in stato di degrado e abbandono. Mai riqualificato e riutilizzato per scopi più utili per la comunità.

La denuncia

Secondo un’indagine giornalistica condotta dal Fatto Quotidiano, ci sarebbe il rischio che gli espropri possano finire nelle mani dei Mancuso, una delle famiglie criminali più note alle procure italiane. La loro influenza si estende principalmente in Calabria, ma la loro rete di attività illegali ha raggiunto anche altre parti d’Italia e dell’estero. Stando alla denuncia del giornale di Travaglio, i soldi andranno nelle mani di Carmina Antonia Mancuso, figlia di Francesco, riconducibile alla cosiddetta “generazione degli 11”, e ad altri, appartenenti alla stretta cerchia di ‘Ndrangheta.

La compensazione di indennizzo per 2.700 metri quadrati, tra pascoli e uliveti, arriverebbe anche all’imprenditore Francesco Naso, conosciuto dalla Dda di Catanzaro che lo ha identificato come parte di un ”do ut des” con in clan, fornendo materiale edile, in cambio della garanzia a mantenere “una posizione dominante” sul territorio.

Trasparenza contro la criminalità

Da fonte Ansa, si apprende che, in merito alle ”presunte” interferenze mafiose l’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, dichiara che  «In questo quadro, prima delle attività di occupazione delle aree e di liquidazione degli espropri e prima dell’avvio dei cantieri, saranno aggiornati i protocolli di legalità, già sottoscritti in passato, con lo scopo di tenere conto delle più avanzate tecniche di monitoraggio. In particolare, per quanto riguarda specificamente le procedure espropriative, nell’ambito dei protocolli di legalità in corso di finalizzazione con le competenti Prefetture, conformemente agli schemi tipo approvato dal Cipess, sono previste specifiche misure volte a verificare preventivamente eventuali ingerenze mafiose nei passaggi di proprietà delle aree interessate dagli espropri ed ad assicurare la massima trasparenza delle procedure».

Dichiarazione in netta contrapposizione alla denuncia de Il Fatto Quotidiano, che sostiene come inevitabilmente i rimborsi degli espropri andranno a finire dritti dritti  nelle mani dei clan che hanno in possesso la zona.

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