La storia certifica che Pierre Auguste Renoir, in un villaggio di montagna, rifece gli affreschi della chiesa distrutti dall’umidità. É lui stesso ad attestarlo in punto di morte, ripercorrendo, con il figlio, le scene di quel viaggio avventuroso in Calabria che rimarrà per sempre impresso nella memoria del grande maestro dell’impressionismo: «Non mi intendevo molto di affreschi; trovai dal muratore un po’ di polveri colorate. Chissà se hanno retto». Così ne i ricordi di uno dei maggiori pittori impressionisti rivive un ricordo di Calabria, quando trova ospitalità in un piccolo villaggio immerso tra gli ulivi, popolato da contadini adusi al lavoro nei campi per i quali l’ospitalità è sacra e il visitatore deve essere trattato con riguardo.
A Capistrano lascia una traccia
Un’ospitalità che Renoir cerca di ricambiare, magari offrendo in dono un po’ della sua arte. Renoir, dunque, ha soggiornato in Calabria. Le sue tracce portano a Capistrano, in provincia di Vibo Valentia, dove si trova un affresco raffigurante il “Battesimo di Gesù” che alcuni studiosi attribuiscono proprio al pennello del pittore francese. L’intuizione della scoperta, risalente a moltissimi anni fa, porta la firma dello scrittore Sharo Gambino, poi riproposta alla ribalta nazionale dall’allora corrispondente dell’Agi Michele Garrì. Studiosi e critici d’arte, ancora oggi, si dividono tra chi vuole attribuire il rifacimento dell’affresco al pittore francese e chi esclude, anche se non in modo categorico, questa possibilità. E così Capistrano si intreccia con una pagina di vita del maestro dell’impressionismo.
Camilleri e gli altri autori
Della presenza di Renoir a Capistrano si è occupato, tra gli altri, il giornalista Andrea Fera nel suo libro “Renoir in Calabria. Prodotto di una inchiesta”, e poi ancora Mario Guarna con “Gli affreschi di Renoir a Capistrano”, senza dimenticare “Dal sogno alla realtà. Sulle orme di Renoir a Capistrano”, scritto a quattro mani da Michele Garrì e Saverio Di Bella. Persino la brillante penna di Andrea Camilleri si è soffermata sul caso Renoir a Capistrano nel suo “Il cielo rubato”. E, ancora, diverse pubblicazioni in cui si prova a certificare che Renoir è stato a Capistrano. Ci sono poi testimonianze orali nelle quali si racconta che le vecchiette del posto ricordano uno straniero che le chiamava “madamoiselle”. Memoria orale, certo, priva di contraddizioni che diventa memoria storica. E se le gli anziani del posto ricordavano uno straniero chi poteva essere se non Renoir?
Memorie orali, certo, però nonostante la notorietà dell’annuncio nessun paese calabrese, ad eccezione di Capistrano, si riconosce nel ricordo che Renoir padre fece al figlio. E riprova di come la memoria orale può rappresentare una fonte storica c’è anche una lettera – marzo del 1966 – di un lettore originario del vibonese che chiedeva all’allora direttore di Epoca, Nando Sampietro, chi poteva essere il pittore francese ospitato dalla nonna materna. Esiste quindi un percorso di continuità senza interruzioni, senza vuoti. E, poi, solo Capistrano presenta le caratteristiche del villaggio descritto da Renoir al figlio. Solo a Capistrano portano le tracce del racconto del rifacimento di un affresco.
La critica non conferma e non smentisce
Certo nessun critico d’arte andrà mai a certificare a Renoir la paternità dell’affresco. Mancano importanti elementi di comparazione. Poi si tratta di un rifacimento, con materiali poveri, polveri di muratori locali. Nessun critico. Non lo fa Vittorio Sgarbi e nemmeno Federico Zeri, quest’ultimo parla di qualcosa di improbabile ma non impossibile. Nessun critico può certificare che Renoir è stato a Capistrano così come nessun critico lo può escludere.