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Riciclaggio della mafia in Germania: arrestati uomini legati a Matteo Messina Denaro e alla ‘Ndrangheta

Sfida internazionale alla criminalità organizzata: le indagini svelano una rete di riciclaggio di denaro che coinvolge la mafia italiana e la 'ndrangheta che opera in Germania

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L’inserimento di un trojan nell’account di Swift, un sistema di messaggistica crittografata, utilizzato dalle istituzioni finanziarie per comunicare e autorizzare transazioni bancarie internazionali, il Whatsapp delle banche, ha consentito l’intercettazione di un’operazione di riciclaggio del valore di 12 milioni di euro. Soldi hackerati, secondo le pagine de Il Fatto Quotidiano, provenienti da attività criminali, come estorsioni, traffico di droga e altro ancora. Venivano riciclati in Germania, attraverso transazioni finanziarie, in una filiale della Deutsche Bank. Da Francoforte, rientravano in Sicilia. Un complesso processo, finalizzato a ripulire i quattrini. Serviva a renderli legalmente spendibili.

Il recupero dei soldi illeciti

Nel 2019 iniziavano le manovre per recuperare i soldi dalla Germania. Prima il viaggio a Roma, poi a Francoforte, per ottenere le veline e procedere a movimentazione. In seguito, il coinvolgimento di personaggi “ambigui, attivi nel settore dei trasferimenti internazionali di denaro”, che solleva preoccupazioni sulla possibilità della presenza di complici intermediari esterni. Sfruttando la propria posizione nel settore finanziario, facilmente gestivano il denaro attraverso confini nazionali. Il quadro probatorio emerge dall’indagine della Polizia Giudiziaria di Trapani. I Carabinieri sono stati coordinati dalla Dda di Palermo, guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai Pubblici Ministeri, Pierangelo Padova, Gianluca De Leo e Bruno Brucoli.
Il primo trasferimento di 12 milioni di euro venifa fatto dal conto di un istituto di credito tedesco verso una filiale con sede a Francoforte sul Meno.
Nel disegno criminale, anche il tentativo, non concluso, di acquisire illecitamente dodici punti vendita della Coop Sicilia. Intercettato, Anzalone, diceva: “Cominciano a prendere fuoco i supermercati”.

Il suo interlocutore, Francesco Paolo Palmeri, ribatteva: “Sono convinto che qua succede un bordello, scoppia una bomba, ora iniziano a prendere fuoco i supermercati, ora ti faccio vedere io cosa succede”.
Il GIP (Giudice per le Indagini Preliminari), Antonella Consiglio, nel provvedimento che dispone la custodia cautelare in carcere di sei persone e cinque ai domiciliari, scrive:
“i mafiosi palermitani Michele Micalizzi, Vincenzo Lo Piccolo, Salvatore Lotà e Salvatore Marsalone, utilizzando come tramite Michele Mondino, si erano rivolti a Salvatore Angelo, affinché questi, che agiva con la costante collaborazione di suo figlio Andrea e di Giuseppe Burrafato, concludesse alcune sofisticate operazioni di trasferimento di ingenti somme di denaro di provenienza illecita”.

Un intricato network per muovere denaro sporco

Il FQ menziona un complesso intreccio di individui. Tutti coinvolti in operazioni di riciclaggio di denaro. Nella banda non mancavano intermediari e collaboratori, ”addetti ai trasferimenti dei fondi illeciti all’estero. Presumibilmente affiliati alla mafia palermitana, avrebbero agito attraverso un network intricato. Il danaro sporco veniva movimentato coinvolgendo persone apparentemente esterne al mondo della criminalità organizzata. L’obiettivo era mascherare le transazioni e rendere più difficile il rintracciamento delle attività illegali.

Nell’operazione, coinvolti uomini di Matteo Messina Denaro e la ‘Ndrangheta


Ai domiciliari è finito il 75enne Salvatore Angelo. Troppo anziano per essere detenuto in carcere, dal quale era uscito cinque anni fa, nel 2019, dopo avere scontato la pena per essersi infiltrato nell’affare delle energie rinnovabili. Alle dirette dipendenze di Matteo Messina Denaro.

L’indagine giudiziaria ha coinvolto personaggi storici della mafia di Salemi, fedeli alleati dell’ultimo boss stragista. Ha rivelato la presenza di una connessione tra la mafia siciliana e le ‘ndrine calabresi. Spesso in collaborazione tra di loro, per perseguire attività vietate.

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