C’è chi oggi si affida alla fede, chi va a messa, chi accende una candela, chi si stringe in famiglia. È Pasqua. Per i cristiani è il giorno della Risurrezione. Il cuore della fede, il momento in cui la vita vince la morte.
Ma anche chi non crede, anche chi guarda il cielo senza aspettarsi risposte, dovrebbe oggi fermarsi. Perché risorgere non è un privilegio mistico. È una necessità terrena. È una responsabilità civile.

E noi, che viviamo in una terra dissanguata e sfruttata come la Calabria, non possiamo permetterci di ignorarla. Qui la Pasqua non può essere solo una cerimonia. Deve diventare una chiamata. A risorgere, sì. Ma non nei riti: nei fatti.
Come si risorge da una giustizia che ha smarrito se stessa, accecata dal culto delle conferenze stampa, dai titoli a effetto, dalla vanità di chi ha scambiato la toga con il palcoscenico, e ha seppellito troppi innocenti sotto il peso delle proprie ambizioni?
Come si risorge da una politica ridotta a clientele, a nomine imposte, a comunicazione tossica, che non governa ma occupa? Che non amministra ma distribuisce favori? Che non rappresenta ma manipola?
Come si risorge da una sanità che uccide nel silenzio? Da un’economia asfissiata da appalti truccati, da imprenditori piegati o complici, da soldi pubblici che spariscono come acqua nel deserto?
Come si risorge da una stampa che si è dimenticata di fare domande e si limita a copiare comunicati? Che si è lasciata comprare, ammansire, ridurre a clacque?
Come si risorge da questo eterno presente in cui le famiglie si disfano, i giovani scappano, le scuole marciscono, le periferie esplodono, e intanto tutti fanno finta di nulla, come se fosse normale?
Come si risorge dal razzismo che oggi si presenta col sorriso, vestito da ordine, da sicurezza, da merito? Dall’ipocrisia di chi sfrutta braccia immigrate per raccogliere arance e poi grida all’invasione?
E come si risorge da un mondo che bombarda i bambini a Gaza, che trasforma il Donbass in una trincea permanente, che si gira dall’altra parte mentre la guerra si fa sistema?
La verità è che non si risorge con le parole. Non bastano i post commossi, le foto con le colombe, gli auguri d’ufficio.
Si risorge quando si decide di cambiare. Di rompere l’inganno. Di dire no. Di alzare la testa. Di smettere di servire il potere e tornare a servire il popolo, la verità, la giustizia, la dignità.
Risorgere non può essere solo un atto religioso. È un gesto politico. È un’urgenza. È un dovere.
E allora buona Pasqua, sì. Ma non buona per abitudine. Buona se sarà diversa. Buona se sarà l’inizio.
Buona se sarà una Pasqua di scelta. Una Pasqua che segna un prima e un dopo. Perché il tempo dei rinvii è finito. E il sepolcro, stavolta, lo dobbiamo svuotare noi.
