Saverio Zavettieri: il socialismo militante tra passione, politica e istituzioni.
Recensione del libro-intervista di Francesco Kostner.
Ci sono libri che non sono semplici raccolte di memorie, ma strumenti preziosi per comprendere un’epoca, le sue lotte, i suoi protagonisti. Battaglie di libertà. Tra politica, istituzioni e lotte sociali, curato dal collega Francesco Kostner, è uno di questi. È un volume di grande valore, che racconta con lucidità e profondità la storia di Saverio Zavettieri, uno degli ultimi grandi protagonisti del socialismo calabrese e italiano.
Non posso che esprimere la mia stima per Kostner, che con la sua sensibilità giornalistica e la sua capacità narrativa ha saputo costruire un dialogo intenso con Zavettieri, restituendoci una testimonianza autentica e ricca di spunti di riflessione. E, naturalmente, la mia ammirazione va a Zavettieri stesso: un politico che ha attraversato decenni di storia mantenendo saldi i suoi principi, lottando per i diritti, sfidando poteri forti e resistendo anche nei momenti più difficili.
Questo libro non è solo un viaggio nella sua vita, ma anche nella storia della Calabria, delle sue contraddizioni e delle sue battaglie. È una lettura fondamentale per chiunque voglia capire cosa significhi fare politica con passione, intelligenza e coerenza.
L’uomo e il politico
Zavettieri emerge dalle pagine di questo volume come un politico pragmatico e al tempo stesso idealista, profondamente radicato nelle battaglie per i diritti dei lavoratori, per la modernizzazione della Calabria e per il riscatto del Mezzogiorno. La sua formazione sindacale nella CGIL negli anni ’60 e ’70 lo ha visto in prima linea nelle lotte bracciantili e contro il caporalato, in un’epoca in cui la politica non era uno spazio di pura gestione, ma un’arena di confronto e scontro tra visioni del mondo contrapposte.
Il suo ingresso nelle istituzioni non ha smorzato l’ardore militante, ma lo ha reso più incisivo: da parlamentare socialista e assessore regionale, Zavettieri ha mantenuto la schiena dritta anche quando il suo operato ha incontrato resistenze e ostilità. La testimonianza del presidente Giuseppe Chiaravalloti, che lo volle assessore alla Pubblica Istruzione nella sua giunta, è emblematica: Zavettieri fu un amministratore capace e leale, anche a costo di diventare bersaglio di critiche interne e persino di un attentato.
Francesco Catanzariti: il comunista di Platì e la lotta contro il pregiudizio
Tra i grandi legami di Saverio Zavettieri, uno dei più significativi fu quello con Francesco Catanzariti, figura di spicco della sinistra calabrese e del sindacato. Catanzariti non fu solo un dirigente storico della CGIL, ma anche un parlamentare del PCI, un politico che seppe coniugare la militanza con un pragmatismo radicato nel territorio. Eppure, era di Platì. E questo particolare non è secondario.
Quando ne parla Zavettieri, lo fa con un rispetto profondo, riconoscendogli il merito di aver combattuto con forza il pregiudizio che per decenni ha gravato sul suo paese natale. Platì, troppo spesso ridotto a simbolo negativo nei racconti superficiali sulla Calabria, era invece una comunità con una storia fatta di uomini di valore, capaci di emergere con la sola forza delle idee e della determinazione. Catanzariti ne fu un esempio: da segretario della Camera del Lavoro, poi leader della CGIL calabrese e infine parlamentare, incarnò la visione di un meridionalismo autentico, non lamentoso né vittimista, ma volto al riscatto attraverso l’impegno concreto.
La sua traiettoria politica e sindacale è un monito per la sinistra di oggi, spesso ripiegata su un radicalismo di facciata, più attenta all’estetica della militanza che alla sua sostanza. Oggi, molti esponenti di questa sinistra radical-chic, così distante dalla durezza della lotta sociale di una volta, farebbero bene a rileggere la storia di uomini come Catanzariti. Nella sua militanza c’era il pragmatismo di chi non si limitava a denunciare le ingiustizie, ma lottava per cambiarle, senza dimenticare l’amore per le proprie radici.
Negli anni ’60, Zavettieri fu il suo vice nella CGIL, e da quel rapporto maturò un’esperienza che lo accompagnò per tutta la vita politica: la consapevolezza che la lotta per i diritti non è mai una questione di etichette ideologiche, ma di scelte concrete. La lezione di Catanzariti resta attuale, soprattutto in un tempo in cui la sinistra sembra aver smarrito la connessione con il popolo che dovrebbe rappresentare.
Giacomo Mancini: il socialismo riformista e il rapporto con Zavettieri
Nel racconto di Saverio Zavettieri, un posto centrale è occupato dalla figura di Giacomo Mancini, il leader socialista che più di ogni altro ha segnato la storia del PSI e della Calabria. Un uomo politico che non ha mai accettato di recitare un ruolo marginale nel panorama nazionale, ma che ha sempre imposto il suo pensiero riformista con una visione moderna e coraggiosa.
Ministro della Sanità, poi dei Lavori Pubblici e infine del Mezzogiorno, Mancini fu il leader capace di dare voce e dignità al Sud, imprimendo alla politica socialista una spinta innovatrice che spesso lo mise in rotta di collisione con i conservatorismi, sia interni che esterni al partito. Il suo meridionalismo non era piagnisteo, ma azione concreta: infrastrutture, sviluppo industriale, investimenti reali per colmare il divario con il Nord.
Zavettieri riconosce a Mancini il merito di aver portato la Calabria fuori dalla marginalità, dandole peso nei tavoli nazionali e mostrando che il Sud non doveva più accettare di essere una terra di assistenzialismo. Tuttavia, il suo rapporto con lui non fu privo di tensioni. Se nei primi anni ne fu un convinto sostenitore, con il tempo iniziò a rivendicare una sua autonomia di pensiero, fino al Congresso regionale del PSI del 1972 a Crotone, quando presentò la mozione della sinistra del partito, segnando la sua distanza dalla linea manciniana.
Questo non significa che tra i due vi fosse una rottura insanabile: piuttosto, si trattava del confronto tra due socialisti veri, entrambi radicati nel territorio, ma con approcci diversi alla costruzione politica. Se Mancini puntava su una leadership carismatica e decisionista, Zavettieri incarnava un socialismo più collettivo, legato alla base operaia e sindacale.
Eppure, nonostante le divergenze, Mancini e Zavettieri rimasero protagonisti di un’epoca irripetibile, quando il socialismo non era un’ombra sbiadita della politica italiana, ma una forza capace di governare e incidere sulla vita del paese. Un’epoca che oggi sembra lontana anni luce, in un contesto politico in cui il riformismo è stato sostituito dall’opportunismo e il coraggio delle scelte ha lasciato il posto alla paura di scontentare qualcuno.
La testimonianza di Zavettieri su Mancini è quindi un pezzo di storia che va oltre il ricordo personale: è un racconto che aiuta a comprendere perché oggi la sinistra fatichi a trovare una guida, perché ha smarrito quella capacità di leadership e di visione che uomini come Mancini incarnavano alla perfezione.
Da Montecitorio ai giorni nostri: il declino della classe parlamentare
Quando Saverio Zavettieri varcò per la prima volta il portone di Montecitorio, la politica era tutt’altra cosa. I parlamentari erano uomini di spessore, con esperienza, cultura e una solida preparazione alle spalle. Si arrivava alla Camera e al Senato dopo anni di militanza, di battaglie nelle sezioni di partito, di impegno nei sindacati o nelle amministrazioni locali. Non si improvvisava nulla. Il Parlamento era un luogo dove si costruivano le leggi, si discuteva con competenza, si affrontavano i problemi con serietà.
Oggi, secondo Zavettieri, la situazione è ben diversa. Il Parlamento è diventato un ricettacolo di mediocrità, popolato da personaggi che spesso non sanno neppure articolare un discorso politico degno di questo nome. Non c’è più selezione, non c’è più gavetta, non c’è più quella preparazione che un tempo era un requisito imprescindibile per sedere tra gli scranni di Montecitorio. Si assiste al trionfo dell’improvvisazione e dell’opportunismo: deputati e senatori senza visione, senza capacità dialettica, senza neppure una conoscenza basilare delle istituzioni che sono chiamati a rappresentare.
Zavettieri non fa sconti: il Parlamento si è trasformato in un contenitore vuoto, dove le idee sono merce rara e il conformismo regna sovrano. Il dibattito è stato sostituito dalla propaganda social, il confronto politico dal servilismo nei confronti dei leader di turno. Se un tempo un parlamentare socialista o democristiano doveva dimostrare di avere stoffa per farsi strada, oggi basta un post ben piazzato su Facebook o la fedeltà cieca a un capo.
Il giudizio è tagliente, ma innegabilmente realistico: il Parlamento, che un tempo era il cuore pulsante della Repubblica, è oggi una passerella per chi non ha mai letto una legge in vita sua. Una decadenza che Zavettieri osserva con amarezza, consapevole che la politica senza qualità non è più politica, ma solo un gioco di poltrone tra dilettanti allo sbaraglio.
Luciano Violante e la Calabria: il giudizio di Zavettieri
Tra i passaggi più significativi del libro, Saverio Zavettieri dedica una riflessione critica su un personaggio centrale nella storia politica e giudiziaria italiana: Luciano Violante. Deputato del Partito Comunista, poi del PDS, presidente della Commissione Antimafia e in seguito della Camera dei Deputati, Violante fu a lungo il principale stratega della politica giudiziaria della sinistra italiana, con un’influenza che si estese per decenni, soprattutto tra gli anni ’80 e ’90.
Ma qual è stato il suo ruolo in Calabria? Zavettieri non ha dubbi: la sua presenza e il suo operato hanno avuto un impatto profondamente negativo sulle dinamiche politiche regionali. Violante incarnava una visione della giustizia fortemente orientata al giustizialismo, una logica che, secondo Zavettieri, ha finito per alimentare un sistema di potere parallelo, in cui la magistratura si è sovrapposta alla politica, condizionandola pesantemente.
Nel racconto di Zavettieri, Violante è il simbolo di una sinistra che ha progressivamente abbandonato il confronto politico per rifugiarsi nel potere giudiziario, utilizzandolo come arma per regolare i conti con gli avversari e per imporre un dominio che non sempre passava dalle urne. Una dinamica che ha avuto conseguenze devastanti in Calabria, dove il fragile equilibrio tra politica, giustizia e istituzioni è stato spesso travolto da inchieste, processi mediatici e operazioni che hanno contribuito più a destabilizzare che a risolvere i problemi del territorio.
Zavettieri non si limita a un giudizio politico, ma offre una chiave di lettura che spiega molto delle contraddizioni della sinistra calabrese e nazionale. La stagione in cui Violante ha dominato il dibattito sulla giustizia ha coinciso con un periodo in cui il Partito Socialista è stato progressivamente smantellato, e con esso un’intera classe dirigente che aveva una visione pragmatica dello sviluppo del Mezzogiorno. Al suo posto, è rimasto un vuoto colmato dal moralismo e dall’ossessione per la “questione morale”, che spesso si è rivelata un’arma selettiva e strumentale.
Accennare a questo passaggio del libro non è solo un modo per stimolare la curiosità del lettore, ma è anche una chiave per comprendere meglio il declino della politica calabrese e l’egemonia del giustizialismo, che ancora oggi continua a influenzare profondamente gli equilibri della regione.
L’attentato a Saverio Zavettieri: il giorno in cui tentarono di ucciderlo
Tra le pagine più forti e inquietanti del libro, c’è il racconto dell’attentato subito da Saverio Zavettieri, un episodio che avrebbe potuto concludere tragicamente la sua storia politica e umana.
Non fu un avvertimento, non un semplice atto intimidatorio. Fu un vero e proprio tentato omicidio. Una sera, nella sua casa di Bova, un fucile a doppia canna sparò da una distanza di appena tre o quattro metri, mirando direttamente alla sua testa. La violenza dell’arma avrebbe dovuto essere letale, se non fosse stato per un dettaglio che fece la differenza tra la vita e la morte: il vetro antisfondamento della finestra.
Il colpo, infatti, fu parzialmente depotenziato e le palle del fucile si fusero nell’impatto, ma non senza conseguenze: un frammento colpì Zavettieri all’orecchio, un altro raggiunse al collo un suo collaboratore seduto di fronte a lui. Altri proiettili si schiacciarono sulla parete alle sue spalle.
Il racconto che Zavettieri fa di quell’episodio è carico di consapevolezza: chi sparò non voleva solo spaventarlo, voleva eliminarlo. L’eco di quel gesto attraversò tutta la politica calabrese, ma non fermò il suo impegno. Zavettieri continuò a lottare con la stessa determinazione di sempre, consapevole che la sua battaglia per i diritti e per una Calabria diversa lo avrebbe sempre reso un bersaglio scomodo.
Questo episodio, oltre a dimostrare la brutalità di certi poteri, è il simbolo di quanto la politica, in alcuni territori, sia stata – e in parte sia ancora – un campo minato, dove il coraggio di non piegarsi ha spesso un prezzo altissimo.
Un libro da leggere
Battaglie di libertà non è solo il racconto di una carriera politica, ma una riflessione sul passato e sul presente della Calabria. Un testo che dovrebbe essere letto da chiunque voglia comprendere cosa significhi fare politica con coerenza, senza cedere ai compromessi del potere.