Da qualche giorno, il tema dello scioglimento dei comuni per mafia ha assunto una inedita centralità nel dibattito politico. Ma come troppo spesso avviene di questi tempi, sui mezzi d’informazione è andato in scena solo l’ennesimo scontro tra opposte tifoserie, con le forze politiche impegnate esclusivamente a gestire gli effetti mediatici del “caso Bari”.
Abbiamo quindi assistito ad un ridicolo teatrino dell’assurdo in cui, con una inversione dei ruoli da far invidia al più ispirato Ionesco, i garantisti del centrodestra si sono trasformati in questurini per difendere l’operato del ministro Piantedosi e, nello stesso momento, i giustizialisti di sinistra hanno scoperto i limiti e le contraddizioni della nostra legislazione antimafia, che fino a ieri definivano la migliore del mondo, sol perché questa volta a rimetterci le penne potrebbe essere il sindaco Decaro.
Chi si aspettava che il contestato invio della commissione d’accesso nel capoluogo pugliese potesse innescare una seria discussione sulle storture di una normativa che, per unanime opinione degli esperti, necessita di una radicale revisione, è invece rimasto deluso.
Certamente, quella indicata questa mattina da Gian Domenico Caiazza sulle pagine de il Dubbio è una delle principali ragioni per cui le segreterie di tutti i partiti si guardano bene dall’inserire tra le proprie priorità l’ormai indefettibile riforma dell’articolo 143 del testo unico degli enti locali, che appunto disciplina l’istituto del commissariamento degli enti per infiltrazioni o condizionamenti della criminalità organizzata.
Secondo l’ex presidente dell’Unione delle Camere Penali, nonostante vi sia l’assoluta urgenza di intervenire per ripensare una norma che, per come interpretata dal Consiglio di Stato, consente di sciogliere un comune anche in assenza di dirette responsabilità degli amministratori, in Parlamento regna l’immobilismo perchè “tutti hanno paura di essere marchiati con la stella gialla perlomeno dell’indifferenza e della contiguità alla cultura mafiosa”.
Questa amara, quanto condivisibile, constatazione fa comprendere quanti danni abbia prodotto nella dialettica democratica il trentennio di comunicazione a senso unico che ha impresso un’aura di vera e propria sacralità a tutto ciò che viene abbinato al termine “antimafia”.
In questi anni nella mente degli italiani si è instillato il subdolo sillogismo secondo cui una legge “antimafia” è per definizione giusta e se qualcuno vuole modificarla lo fa solo per favorire i mafiosi.
E che non si tratti di una boutade, ma di un qualcosa di reale e tangibile, lo confermano le feroci polemiche che hanno investito la Corte Costituzionale quando, per allinearsi alla giurisprudenza della CEDU, ha osato mettere in discussione l’ergastolo ostativo.
In realtà, come per qualunque altra norma giuridica, anche le disposizioni di legge finalizzate a contrastare la criminalità organizzata possono essere state concepite o scritte male e possono produrre effetti imprevisti o indesiderati.
Uno dei casi più eclatanti di inidoneità della norma ad assolvere alla funzione per la quale è stata introdotta è appunto quello dello scioglimento dei comuni per mafia.
Si tratta, infatti, di una disposizione che presenta tali e tante criticità da non avere eguali nel panorama legislativo nazionale.
Il limite più noto ed evidente è certamente quello che discende dall’evanescenza dei presupposti che consentono alle autorità governative di commissariare un ente per un periodo di 18 mesi (sistematicamente prorogati a 24).
Chi pensa che lo scioglimento del consiglio comunale possa essere decretato solo in caso di accertamento di una effettiva infiltrazione o di un concreto condizionamento da parte della mafia, si sbaglia di grosso: secondo la giurisprudenza amministrativa, difatti, «l’accertata e notoria diffusione nel territorio della criminalità organizzata e le precarie condizioni di funzionalità dell’ente si configurano come condizioni necessarie e sufficienti per disporre lo scioglimento del Consiglio Comunale».
Altra gravissima carenza dell’attuale testo normativo è rappresentata dalla rigidità della risposta dello Stato, visto che il Commissariamento viene decretato con le medesime modalità sia nel caso di accertato condizionamento degli organi elettivi, sia nell’ipotesi di mero disordine organizzativo che potrebbe agevolare, secondo una valutazione probabilistica, i tentativi di infiltrazione.
Ancora, in un panorama dove la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo è ormai un dogma e, grazie alle norme sull’accesso civico, praticamente tutti gli atti prodotti dalla pubblica amministrazione devono essere resi pubblici, è davvero incomprensibile la ragione per cui agli amministratori dei comuni presso cui è inviata la commissione d’accesso non è garantito il diritto al contraddittorio, ossia di poter fornire eventuali spiegazioni sui procedimenti attenzionati dai commissari.
E si potrebbe continuare ancora lungo, parlando della sostanziale impossibilità di esercitare il diritto di difesa nel giudizio amministrativo contro il decreto di scioglimento, oppure della oggettiva difficoltà per i tre commissari prefettizi di farsi carico di tutti i compiti e le funzioni attribuiti a Sindaco, Giunta e Consiglio Comunale, oppure ancora della eccessiva durata del periodo di commissariamento.
Di conseguenza non può sorprendere il fatto che ci sono comuni sciolti per mafia anche quattro volte nell’arco di pochi anni e che, nella quasi totalità dei casi, il commissariamento non ha portato alcun reale beneficio all’ente.
Di fronte ad una situazione del genere, che incide in maniera drammatica sul corretto funzionamento di organi di rilevanza costituzionale, quali sono i Comuni, chi esercita la funzione legislativa ha il dovere di correggere i propri errori, anche se ciò significa sfidare i luoghi comuni dell’antimafia.
Purtroppo, come ha giustamente notato Caiazza, in questa fase storica il Parlamento non ha né la forza né l’autorevolezza per fare il suo dovere. Ma se la politica ancora esiste, è questo il momento in cui deve battere un colpo.
Pasquale Simari – Avvocato