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Si rinnova l’atavico rito dei battenti di Verbicaro

Si svolge nella notte tra il giovedì e il venerdì santo, uno dei riti più cruenti della settimana santa calabrese

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Mistero, fascino, religiosità possiamo racchiudere in queste tre parole, una delle più antiche tradizioni pasquali calabresi fonte di attrazione da parte di molti curiosi e turisti. I battenti non sono altro che i flagellanti che accompagnano Cristo, ponendo al centro della propria “pratica” il sangue, elemento principale della passione di Cristo. Le prime testimonianze storiche sullo svolgimento di questo rito risalgono al 1618, il quale in molti paesi è scomparso nel corso del tempo. Un “culto” che ha sfidato molte volte la Chiesa, poiché in più occasioni ha mostrato il suo disappunto su questo antichissimo rituale.

Il rituale: tra mistero e devozione

Il rito si svolge il giovedì santo, l’aria che si respira è magica e pregna di attesa, perché non si sa quando tutto avrà inizio. E si aspetta. I curiosi si riuniscono nella piazza principale dinanzi alla chiesa di San Giuseppe o davanti ai portoni dove si pensa siano raccolti i flagellanti. La pratica si compone di varie fasi. I Battenti prima di vestirsi con gli abiti tradizionali ed uscire per cominciare il rito, si riuniscono tutti insieme per consumare un momento conviviale in una una cantina. La cena è a base di piatti tipici e vino rosso di Verbicaro. Alle 22.00 circa, si dividono in gruppi da tre e da due e si allontanano per prepararsi in posti diversi. Gli abiti e gli accessori utilizzati sono di colore rosso: una maglia, un pantaloncino corto che lascia ben in evidenza le cosce e rigorosamente scalzi. Il clou della flagellazione è intorno a mezzanotte quando all’improvviso i piccoli gruppi cominciano a correre per i vicoli del paese, in maniera alternata, fermandosi in alcuni posti prestabiliti a turno. Il percorso è segnato da un’illuminazione fioca e lumini che contribuiscono a creare una suggestiva atmosfera. Intorno tanto silenzio e lo scalpitio dei piedi nudi sulla pietra che annunciano il loro arrivo. La folla li segue velocemente ma in silenzio, cercando di sentire il rumore dei passi o inseguendo le tracce di sangue, ovvero impronte dei palmi delle mani sui muri, impronte dei piedi, piccole pozze di sangue misto a vino e gocce di sangue. Il vino è un elemento molto importante del rito, perché è utilizzato come disinfettante sulle ferite ed è offerto dalla folla ai flagellanti. Un fischietto annuncia l’arrivo nelle tappe fissate: piccoli altari o nello spazio antistante ai luoghi sacri. Una volta nel posto desiderato comincia lo strofinamento della parte interessata, quando il muscolo è sufficientemente riscaldato, si percuotono col cardillo, un cilindro di sughero sul quale sono apposte delle puntine di vetro, battuto con energia sulla superficie della pelle, che viene perforata nella parte superficiale.

Poi s’inginocchiano per un momento di raccoglimento che dura qualche minuto per riprendere la corsa.Una delle tappe principali è la chiesa di San Giuseppe, dove i Battenti si radunano nella parte bassa per percuotersi, davanti alla platea di curiosi assiepata sulla gradinata principale o accerchiandoli in assoluto silenzio. Poi risalgono e si genuflettono per un momento di preghiera. Dopo questa tappa, i gruppi svolgono tre giri, gli ultimi, si muovono a passo svelto, di corsa, per poi puntualmente fermarsi per segnare di sangue i muri nei posti prefissati. Ultimati i giri si recano presso un’antica fontana, un lavatoio pubblico e si lavano con l’acqua fredda in modo da rallentare e infine bloccare la fuoriuscita del sangue. Infine si ritirano e si rivestono con gli abiti usuali e spesso si recano in chiesa per partecipare alla liturgia.

Si tratta, come evidente, di un evento ricco di pathos, il quale è particolarmente sentito da migliaia di persone che ogni anno con particolare devozione prendono parte alla cerimonia, ma anche di chi partecipa con gli occhi del turista curioso, che vuole  scoprire le tradizioni del folklore calabrese.

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