Chi pensava che il socialismo riformista fosse un reperto da museo ha dovuto ricredersi. Al teatro Garden di Rende è andata in scena una delle più potenti e cariche manifestazioni politiche degli ultimi anni in Calabria. Non un comizio, non una liturgia nostalgica: un’assemblea civile, politica, generazionale. Un teatro gremito di cittadini, giovani, militanti, volti storici del socialismo, dirigenti locali, amministratori, sindaci. Ma soprattutto: un’idea di futuro. E un linguaggio della politica che sembrava perduto.
A guidare questo passaggio simbolico è Sandro Principe, figura centrale della sinistra riformista cosentina, con una lunga e prestigiosa carriera politica: consigliere e assessore regionale, deputato, sottosegretario, sindaco di Rende per più mandati. Ma oggi, più che un ritorno personale, la sua candidatura rappresenta una nuova aggregazione politica e culturale, che sfida gli assetti consolidati.
In prima fila c’era Mario Oliverio, storico dirigente del Partito Democratico e delle formazioni che lo hanno preceduto: la sua presenza al fianco di Principe è un segnale fortissimo a tutto il fronte riformista, e in particolare a quel mondo del PD che vive con disagio crescente la gestione chiusa e settaria di un partito che appare ormai una confederazione di orticelli personali, incapace di includere, discutere, rappresentare.
Accanto a Oliverio, un altro passaggio simbolico: la presenza di Franz Caruso, sindaco di Cosenza, che apre di fatto una frattura interna nel centrosinistra cosentino. Per contrasto, pesa l’assenza di Nicola Adamo, che secondo più retroscena avrebbe scelto ancora una volta una linea ambigua: formalmente vicino al candidato civico Bilotti, per mantenere la fedeltà alla linea del PD, nei fatti impegnato a sostenere Ghionna, il candidato espressione di ambienti imprenditoriali – anche della sanità – a lui vicini. Una dinamica già vista nel 2011, quando Adamo preferì Mario Occhiuto al candidato socialista Paolini.
Ma oggi il clima è cambiato, e al Garden lo si è percepito chiaramente: non nostalgia, ma energia politica, entusiasmo, consapevolezza. Tanti giovani, amministratori in prima linea – come il sindaco di San Mango d’Aquino – e figure come Giuseppe Aieta, oggi candidato a Cetraro, anch’egli uscito dalla militanza nel PD per condurre una sfida autonoma.
Il paradosso è solo apparente: attorno alla candidatura di un “vecchio” leader come Sandro Principe, si sta formando forse la proposta più nuova e avanzata del fronte progressista calabrese. Non solo una lista: una visione, una rete, una comunità politica. Un fronte che potrebbe non solo cambiare il volto di Rende, ma rimettere in discussione gli equilibri stagnanti del centrosinistra regionale.
1. La Rende del futuro: una città viva, giusta e connessa
Nel cuore dell’intervento di Sandro Principe al Garden di Rende c’è stato un lungo, articolato affondo sui temi programmatici. Un discorso che ha mostrato visione e concretezza, capacità progettuale e profondità amministrativa. Nessuna promessa generica, nessun effetto scenico: idee, modelli, soluzioni. A partire da una premessa: «Rende è una città che oggi soffre. Noi l’avevamo lasciata ordinata, viva, pulita. Dobbiamo riportarla alla normalità. E poi guardare oltre».
La prima leva da riattivare è quella della coesione urbana: Principe ha rilanciato il concetto di amalgama, divenuto negli anni passati un vero e proprio modello urbanistico e culturale. Una città che non divide centro e periferia, ma che li connette con piazze, scuole, biblioteche, teatri, chiese, centri sociali. Un’idea di spazio pubblico pensato per l’incontro, in cui le agenzie educative, laiche e religiose, cooperano con l’amministrazione.
Principe ha rivendicato con orgoglio di aver anticipato di trent’anni le riflessioni di Renzo Piano sulla rigenerazione urbana: «La periferia ci faceva paura, e l’abbiamo affrontata, con i fiori, le scuole, le strade curate. Questo è socialismo riformista: vedere il futuro e organizzarlo».
Tra le proposte concrete, la ripresa del progetto della metropolitana leggera Cosenza–Rende–Unical, affossata dal centrodestra nonostante i fondi già assegnati (160 milioni di euro). Un progetto strategico che, insieme a un vero piano di bacino per il trasporto pubblico, restituirebbe efficienza, sostenibilità e collegamento all’intera area urbana. «Bisogna uscire dalla guerra delle corse e pianificare seriamente – ha detto –. Rende, Cosenza, l’Unical e l’area industriale devono essere collegate in modo moderno, europeo».
Accanto ai trasporti, il nodo della sanità territoriale. Principe ha sottolineato come, già negli anni ’80, Rende avesse puntato su un grande poliambulatorio, anticipando di decenni il dibattito sulla medicina di prossimità. Ha rilanciato l’idea di potenziare il poliambulatorio, integrandolo con servizi di orientamento per anziani e disabili. «Durante il Covid si è scoperto che la Lombardia era forte sugli ospedali ma debolissima sul territorio. Noi avevamo già capito tutto trent’anni fa».
Ma il rilancio sanitario non può prescindere da un’azione congiunta: da qui la proposta di una vera Unione dei Comuni, punto centrale del programma. «Non parliamo più solo di città unica, ma di area vasta, programmazione condivisa, servizi gestiti insieme: dai rifiuti alla mobilità, dalla sanità alla formazione».
Su questo fronte, è tornato a proporre il Policlinico a Rende, presso l’Università della Calabria, a sostegno della nuova facoltà di Medicina: una battaglia storica che oggi, dice Principe, «non può restare incompiuta». Ma ha anche ribadito la necessità di un ospedale Annunziata normale, funzionante, perché «la salute non può aspettare il sol dell’avvenire».
Il programma si articola poi in una serie di proposte urbanistiche innovative, fondate su equilibrio e giustizia sociale: revisione dei PAO (fermi da vent’anni), contenimento del consumo di suolo, blocco degli escamotage edilizi. «Una città cresce con moderazione – ha detto –. E deve essere abitabile per i giovani». Da qui le proposte per una urbanistica sociale, con misure per aiutare le giovani coppie ad acquistare casa e fare famiglia, anche attraverso accordi con banche e istituzioni finanziarie.
Infine, il cuore politico del progetto: la città del lavoro e dell’impresa sociale. Finanziamenti a fondo perduto per cooperative e attività legate al welfare, sviluppo dell’economia sociale, attivazione di voucher per l’accesso ai servizi. Il tutto in un quadro di alleanza pubblico-privata intelligente, in cui il privato non sostituisce lo Stato, ma lo integra dove serve. «Anche la sanità privata deve investire dove il pubblico fatica ad arrivare, non fare business sulla fragilità».
E ancora: la ricerca applicata dell’Unical, da trasformare in motore di sviluppo per tutto il territorio. «A chi parla oggi di Silicon Valley, io rispondo che noi l’abbiamo già fatta: il CRAI, negli anni ’80, è stato l’incubatore dei talenti che oggi guidano l’innovazione». Ora è il momento di far rientrare l’Università dentro la città, come nel progetto del ring urbano da via Quattromiglia a via Rogers, costellato di piazze, scuole, teatri, centri di aggregazione.
Una visione, sì. Ma soprattutto un programma dettagliato, articolato, ambizioso, che ha fatto dire a molti, uscendo dal teatro Garden: forse qui, davvero, sta tornando la buona politica.
2. Una città giusta: welfare di prossimità, impresa sociale e fiscalità equa
Se il primo asse del programma riguarda la struttura della città – i suoi spazi, le sue connessioni, i suoi servizi – il secondo è ancora più radicale: il volto sociale di Rende, quello che Sandro Principe definisce la “città della giustizia umana”. Un’idea che affonda le sue radici nel pensiero socialista, ma che oggi si misura con sfide nuove: la solitudine, la povertà, le disuguaglianze di accesso, le fragilità invisibili.
Per Principe non si tratta di rispolverare un lessico antico, ma di rispondere con strumenti concreti a bisogni reali. La sua visione parte dal riconoscimento di un fatto: il welfare tradizionale europeo è sotto pressione, messo in discussione da crisi internazionali, precarietà diffusa, incapacità dello Stato di coprire da solo l’intera domanda sociale. Eppure, la risposta non può essere la rinuncia, ma una ricostruzione intelligente.
Ecco allora l’idea di promuovere l’impresa sociale come volano di coesione e lavoro. Un sistema sostenuto da finanziamenti a fondo perduto, capace di generare occupazione nelle comunità e di raggiungere chi resta ai margini, anche attraverso meccanismi di voucher e facilitazioni per i non garantiti. Un modello di welfare partecipato, in cui pubblico e privato cooperano con finalità mutualistiche e solidali.
Ma questa idea sociale di città non si ferma all’assistenza: è anche una visione produttiva, che vede nella ricerca applicata dell’Università della Calabria una leva per rilanciare il tessuto economico. Start-up, servizi tecnologici, impresa culturale: un patto tra enti locali, mondo accademico e imprese per riportare lavoro qualificato a Rende, rendendo la città attrattiva per chi vuole investire e costruire valore.
Principe lo ha detto con forza: «Non possiamo continuare a guardare i giovani partire. Dobbiamo dare loro strumenti, spazi, opportunità, casa e lavoro». Per questo, nel programma trova spazio anche una riforma dell’urbanistica sociale, pensata per accompagnare le giovani coppie nell’accesso alla casa, con l’aiuto delle banche, agevolazioni per l’acquisto del suolo e politiche abitative mirate. Perché – ha ricordato – «senza figli, senza case, senza welfare, la comunità si spegne».
Il discorso si è poi spostato su un tema spesso trascurato ma essenziale: la fiscalità comunale. Qui il tono si è fatto netto, quasi di denuncia. Principe ha criticato una gestione repressiva e miope del fisco locale, incapace di distinguere tra il grande evasore e il cittadino in difficoltà. «Abbiamo visto minacce, revoche di autorizzazioni, atteggiamenti da Bielorussia. Ma non è questo il modo di riscuotere tributi in una democrazia».
La proposta è chiara: una fiscalità equa e intelligente, basata su rateizzazioni sostenibili, senza garanzie sproporzionate che finiscano per compromettere l’accesso al credito o strangolare piccole attività. «Se una persona dimostra buona fede e regolarità nei pagamenti – ha detto – non va punita, va aiutata». E ancora: pulizia dei crediti inesigibili, per chiudere contenziosi inutili e ripartire da una situazione reale e trasparente.
Il senso profondo di questo modello fiscale non è solo contabile: è culturale. Una città giusta, secondo Principe, è quella in cui l’amministrazione sa distinguere, ascoltare, accompagnare. Dove il rapporto con il contribuente è basato sulla fiducia e non sulla minaccia. Dove l’interesse pubblico non è cieco, ma alleato della dignità delle persone.
In queste proposte si legge tutta la cifra politica di Sandro Principe: il socialismo umanitario, fatto di concretezza, equilibrio e umanità. Una politica che non cerca consenso con le promesse, ma lo costruisce con risposte sensate, visione lunga e rispetto per la vita quotidiana dei cittadini.
3. La città universitaria e culturale: connessioni, identità e visione europea
Rende non è soltanto un comune calabrese. È, da sempre, una città-università, un laboratorio di convivenze e saperi, un punto d’incrocio tra mondo accademico e vita civile. Ed è proprio da questo ruolo che Sandro Principe riparte, tracciando un nuovo patto tra la città e l’Unical, tra il territorio e il suo più grande attrattore culturale e formativo.
Non si tratta di una dichiarazione d’intenti, ma di una proposta chiara: «L’università non può restare in una campana di vetro. Deve entrare nel territorio, contaminarsi, collaborare alla crescita della comunità. Deve diventare motore sociale e progettuale». Ed è in questo spirito che nasce l’idea del “ring urbano”: un percorso simbolico e strutturale tra via Rogers e via Quattromiglia, pensato come un moderno viale viennese costellato di opere per la collettività.
Il riferimento storico è forte e suggestivo: il Ring di Vienna, dove l’Imperatore Francesco Giuseppe pose i grandi contenitori pubblici della cultura e della democrazia – teatri, musei, biblioteche. Principe riprende quella visione e la radica a Rende, indicando le scuole, le piazze, il municipio, il Metropolis, le chiese, come punti di un sistema urbano da valorizzare. Una cintura civica e culturale, capace di creare identità, connessioni e attrattività.
Al centro di questa idea sta la convinzione che la cultura non è un lusso, ma un’infrastruttura fondamentale di cittadinanza. Da qui la proposta di una vera impresa culturale che coinvolga i tanti professionisti presenti sul territorio e si leghi ai fondi strutturali europei, per produrre programmazione, eventi, presìdi stabili. Non festival a pioggia, ma progettualità solida, che generi economia e partecipazione.
Principe ha legato questa visione anche alla grande partita dello svincolo autostradale di Settimo, un’infrastruttura decisiva per connettere l’Università al “mondo delle quattro ruote”, all’area industriale e al resto dell’area urbana. «Con lo svincolo di Settimo e il raddoppio del Viale Principe Bis – ha detto – libereremo la città dai mezzi pesanti e attiveremo un corridoio fisico e simbolico tra sapere, lavoro e vita».
Nel momento in cui lo svincolo di Quattromiglia sarà dismesso, l’area che oggi funge da snodo viario potrà essere riqualificata come grande spazio pubblico: lì, dice Principe, dovrà nascere il punto di contatto tra l’università e il territorio. Una vera e propria “piazza della conoscenza” da affidare ai migliori architetti italiani, a partire da un’idea condivisa: dare forma fisica al legame tra cultura, cittadinanza e innovazione.
Non è solo urbanistica: è visione politica del territorio. La città come luogo che educa, che connette, che restituisce significato. Dove la conoscenza non è separata dalla vita, ma la alimenta. In questa prospettiva, Rende può diventare – ancora una volta – un modello per il Mezzogiorno, un laboratorio di innovazione umanistica, dove la tecnica convive con l’etica, dove l’intelligenza artificiale si sviluppa accanto al pensiero critico, dove le idee non restano in aula, ma camminano tra le strade.
Un passaggio lo chiarisce più di tutti: «Noi la Silicon Valley l’abbiamo fatta quarant’anni fa, con il CRAI. Ora vogliamo fare una città che metta al centro l’uomo, con i suoi sentimenti, la sua umanità». In un tempo in cui la tecnologia sembra dominare il discorso pubblico, Sandro Principe rilancia una modernità che non dimentica le persone, e affida a Rende il compito di essere esempio di civiltà urbana, culturale e democratica.
4. L’area vasta, l’autonomia e la sfida istituzionale: Rende guida un nuovo patto territoriale
Tra le direttrici programmatiche più rilevanti tracciate da Sandro Principe vi è la proposta di costruire una vera area vasta, fondata sull’unione dei comuni e su una progettazione condivisa tra territori affini, vicini, connessi da dinamiche sociali ed economiche ormai interdipendenti. Ma attenzione: non si tratta dell’imposizione verticistica di una città unica. Al contrario.
«Noi ci siamo opposti a un progetto di città unica calato dall’alto, non studiato, non programmato, potenzialmente pericoloso. Perché così si mette a rischio l’autonomia, non si costruisce cooperazione», ha affermato con decisione. Rende non deve essere inglobata o commissariata: deve essere protagonista di un disegno più ampio e consapevole.
Principe immagina un’Unione dei Comuni che parta da Rende, Cosenza, Castrolibero e Montalto Uffugo, con la possibilità di allargarsi ai comuni delle Serre, del Presilano, del Savuto. Una rete che abbia la massa critica per governare i servizi essenziali in forma consorziata, ottenere economie di scala, rafforzare la voce politica e istituzionale di una porzione centrale della Calabria.
La proposta è netta: gestire insieme rifiuti, trasporti, sanità territoriale, ma anche affrontare con una sola visione i temi dell’ambiente, della formazione, del turismo, dell’innovazione. Un’alleanza amministrativa fondata su sinergie operative, pianificazione territoriale e rispetto delle singole identità comunali.
Principe ha rilanciato anche un’idea precisa di partecipazione: le assemblee dei sindaci devono tornare a essere vere sedi decisionali, non liturgie disertate. «Oggi solo il 10% dei sindaci partecipa. Ma senza questa responsabilità collettiva non si incide su nulla. La sanità, ad esempio, ci riguarda tutti: i sindaci hanno poteri sulla carta, ma se non si organizzano, restano impotenti».
A partire da questa visione, Rende diventa fulcro di un nuovo policentrismo calabrese: una città che si allea, non si sottomette; che guida, non comanda; che lavora per l’unità attraverso il pluralismo. È qui che si innesta anche la difesa dell’autonomia decisionale: «Le scelte su Rende non si prendono né all’ultimo piano dei palazzi romani, né nei salotti di qualche città vicina. Si prendono qui, in Viale Rossini, nella casa dei cittadini rendesi».
È una dichiarazione di principio, ma anche un messaggio diretto al potere regionale e al suo perimetro d’influenza: basta con il centralismo calabrese mascherato da razionalizzazione, con i processi calati dall’alto e impacchettati in etichette civiche o tecnocratiche. La cittadinanza attiva, dice Principe, deve essere il vero baricentro delle decisioni.
In questo quadro, l’Unione dei Comuni diventa la grande infrastruttura politica del programma: un luogo di democrazia intercomunale, di corresponsabilità e di alleanze strategiche. Un passaggio decisivo per uscire dall’isolamento amministrativo e aprire una nuova stagione istituzionale per la Calabria interna.
Una stagione in cui Rende non sarà assorbita, ma sarà cuore pulsante di un’area che pensa, decide e agisce insieme.
5. Il riformismo come metodo, la politica come scuola, la comunità come orizzonte
Nel momento più simbolico e coinvolgente del suo intervento, Sandro Principe ha fatto ciò che solo i veri leader possono permettersi: ha parlato di politica, della sua crisi, della sua necessità, della sua dignità. Ha riportato al centro il mestiere del politico come cura della comunità, costruzione quotidiana, disciplina democratica. Non una retorica del passato, ma una chiamata al futuro.
«Noi non siamo contro i partiti – ha detto –. Anzi, i partiti sono stati le vere scuole della democrazia, luoghi in cui ci si formava, si imparava il senso delle istituzioni, si costruiva classe dirigente». Ma poi ha aggiunto, con amarezza e realismo: «Oggi quei partiti non esistono più. Si sono trasformati in piccole loghiarchie, verticalismi che decidono tutto a Roma o nei palazzi locali, senza confronto, senza dibattito, senza anima».
È un atto d’accusa lucido, rivolto soprattutto alla sua area politica. Sandro Principe ha avuto il coraggio di denunciare il decadimento del Partito Democratico, incapace di rappresentare le sue stesse radici culturali, sempre più chiuso, autoreferenziale, blindato da correnti diventate tribù. E ha ricordato – con una nota amara ma ferma – che già in passato, nel 2011, la stessa filiera politica scelse Mario Occhiuto anziché sostenere il candidato socialista Paolini. Una scelta che oggi si ripete.
Ma è proprio in questa frattura che si apre uno spazio nuovo. Principe lo ha affermato con forza: la coalizione che lo sostiene rappresenta oggi il vero centro-sinistra, non quello delle etichette, ma quello dei contenuti. Un campo largo che unisce il socialismo riformista (PSI, Italia del Meridione), il civismo radicato (Nova), il contributo di Italia Viva, Azione, ma anche l’apertura a una destra sociale consapevole della centralità della questione sociale.
Il riformismo, in questa visione, non è una posizione ideologica, ma un metodo di governo. È la capacità di lavorare sui problemi, di costruire soluzioni quotidiane, di combattere ogni giorno per piccoli grandi risultati. «Non abbiamo padroni – ha detto –. Non abbiamo burattinai. Abbiamo una comunità, e ci mettiamo in cammino insieme».
Principe ha lanciato un messaggio preciso anche alle nuove generazioni: la sua candidatura non è un ritorno nostalgico, ma una piattaforma per costruire la classe dirigente di domani. Ha annunciato che si circonderà di giovani uomini e donne, ai quali trasmettere esperienza, metodo, spirito di servizio. Perché Rende deve essere un laboratorio di democrazia vera, in cui ogni cittadino possa dire: “ce l’ho anch’io”, come nell’ode manzoniana “Marzo 1821”.
In un tempo in cui la politica sembra solo gestione del potere o cronaca di palazzo, questa è forse la proposta più sovversiva di tutte: fare della politica una scuola, fare della città una comunità, fare dell’amministrazione un’arte civile. Rende come esempio, come idea, come sogno che continua.
Oltre la candidatura: una lezione di politica, una sfida alla mediocrità
Sandro Principe ha chiuso il suo intervento tra l’ovazione del teatro Garden, con tutti in piedi. Ma non era soltanto l’applauso a un leader ritrovato. Era un riconoscimento collettivo, spontaneo, consapevole. In quel momento, si è capito che in gioco non c’è solo la carica di sindaco di Rende. C’è qualcosa di più profondo, che attraversa la città, la regione, il campo progressista e la cultura democratica.
C’è in gioco una storia. C’è in gioco una visione. C’è in gioco un modo di intendere la politica: non come improvvisazione, non come casting per curriculum fotogenici, ma come costruzione quotidiana, come progetto, come disciplina dello sguardo e del pensiero.
Nel suo discorso non c’era una parola superflua, non una concessione al populismo o al dilettantismo. C’era una preparazione di altissimo livello culturale, una visione architettonica della democrazia. In un’epoca di slogan vuoti e candidati “giovani” perché anagraficamente minori, ma politicamente inconsistenti, la lezione che è venuta dal Garden è stata chiara: non conta l’età, conta la statura.
E proprio per questo, ieri sera, al di là di come ciascuno può pensarla, è andata in scena una grande pagina di politica. Politica vera. Politica che emoziona, che divide, che aggrega. Politica che si sporca le mani nei problemi e non si vergogna di parlare di cultura, di etica, di prospettiva.
Se c’era un sentimento che aleggiava nel Garden, era questo: che da Rende può ripartire qualcosa. Che un’altra Calabria è possibile, se si ha il coraggio di rompere con la mediocrità, con il cinismo, con l’accidia amministrativa. E se si ha la forza di tornare a credere che la politica può ancora essere bellezza, pensiero e passione.












