mercoledì, 21 Maggio 2025

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Vibo: Mori e De Donno, libro sconvolgente, ma la stampa tace

“La verità sul dossier mafia-appalti” questo il tema del lavoro letterario che i due ufficiali dell’Arma hanno scritto a quattro mani e presentato alla kermesse culturale patrocinata dal Parlamento Europeo e promossa dall’Associazione Valentia. Curiosa la scelta di affidare ad esponenti dell’antimafia militanti la moderazione su un tema che avrebbe avuto bisogno di essere approfondito più che sedato

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“Si vuole far passare la vulgata che tutti i problemi nella dinamica sociale siciliana, siano solo di natura mafiosa, forse questa lettura è un po’ troppo semplicistica” questo uno dei passaggi del generale Mario Mori nel contesto dell’intervista rilasciata nel corso della presentazione del suo nuovo libro. Basterebbero queste parole per comprendere che il saggio del generale Mario Mori scritto a due mani con un altro protagonista della stagione della lotta a Cosa Nostra, il colonnello Giuseppe De Donno, forse non si inquadra nella trita e ritrita narrazione affidata ai soliti noti del panorama giornalistico calabrese e nazionale cantori dell’antimafia militante.

Curioso affidare all’antimafia militante il tema sollevato da Mori e De Donno

Quella stessa antimafia che per quasi vent’anni ha crocefisso sia Mori che De Donno. La stessa Antimafia che creò l’humus di una condanna in primo grado a 12 e a 8 anni nel contesto del delirante processo Trattativa-Stato-mafia, che ha tenuto sotto scacco questi due prestigiosi servitori dello Stato per quasi 20 anni. Infamie cancellate da una doppia sentenza in appello e in cassazione. Tuttavia, la kermesse culturale patrocinata dal Parlamento Europeo e promossa dall’Associazione Valentia, che ha ospitato l’evento, ha ritenuto di affidare la conduzione anche di questa presentazione a quel tipo di giornalismo. Risultato: i contenuti e il messaggio del libro, il cuore della narrazione, è stato annacquato. Nessuna testata, infatti, ha ritenuto di rilanciare alcuni dei contenuti del libro che possono essere definiti e non a torto clamorosi. Soprattutto ridisegnano il profilo conosciuto di alcune icone dell’antimafia giudiziaria come l’ex Procuratore Giuseppe Pignatone di Palermo e Reggio Calabria, o l’altra sacra icona del giustizialismo di sinistra come Giancarlo Caselli, anch’egli ex procuratore di Palermo. Il mainstream del giustizialismo galoppante e forcaiolo ha ridotto tutto all’ordinario, mettendo sullo stesso piano magari, la scarna biografia di una giovane magistrata che ci spiega perché ha deciso di entrare in magistratura, con le pesanti verità di due alti ufficiali dell’arma che ci raccontano un’altra verità, relativamente, alle dinamiche della procura palermitana e che, forse, non tutto quello che è stato scritto e detto, corrisponde alla verità.

E, d’altronde, in questi anni, la narrazione sulla trattativa Stato mafia, ha incrociato di tutto e di più, soprattutto quella narrazione che a tutti i costi, si vuole imporre rispetto alle altre. Nonostante tale narrazione, e la notizia di reato di questa presunta trattativa siano state cancellate da ben due autorevolissime sentenze.  Nonostante ciò, questa storia sembra non avere mai fine, tra giornalisti e pentiti che riparlano o faccendieri che rivelano, quando tutto sembra finire tutto ricomincia. È l’antimafia bellezza. E non ci puoi fare nulla. Dietro certe narrazioni ci sono interessi editoriali, carriere costruite, posizioni di potere da consolidare e come scriveva sul foglio Riccardo Lo Verso, tutto deve ricominciare ciclicamente, “gli storiografi a oltranza dei patti occulti, rinfrancati da racconti posticci, possono riprendere carta e penna, e i magistrati aprire nuovi fascicoli. Sono coloro che hanno raccolto il testimone dai colleghi dopo la diaspora elettorale e gli inevitabili pensionamenti delle toghe che hanno dedicato una carriera a inseguire e costruire teoremi” e quelle toghe che hanno inseguito teoremi fallimentari oggi anche grazie a quel rullo di tamburi sono in gran smalto a pontificare dagli scranni parlamentari dei 5 stelle. Il libro è un atto di accusa, dunque, e rivela cose che andrebbero veramente approfondite. In uno stralcio nel rapporto tra De Donno e Mori con il mafioso Siino, si apprendono veramente cose sconvolgenti. Siino sostanzialmente si rimangia le cose precedente riferite al colonnello De Donno e cambia il suo atteggiamento quando comincia a collaborare formalmente con la Procura di Palermo.  

“Pignatone, Lo Forte e Giammanco danno notizie ad ambienti mafiosi”

(…) In quelle circostanze, oltre a confermare quanto dichiarato da Li Pera, mi riferì che – già prima del deposito del Dossier presso la Procura di Palermo – era stato informato dell’esistenza delle indagini. A suo dire, la fonte della notizia sarebbe stata Giuseppe Pignatone, che ne aveva informato alcuni “canali” di cui non mi rivelò l’identità. Mi spiegò anche che Pignatone aveva un interesse personale in relazione a quelle indagini, in virtù sia della posizione del padre sia di quella del fratello, avvocato dello Stato e consulente dell’Assessorato ai lavori pubblici del comune di Palermo. Proseguì raccontandomi che, immediatamente dopo che il Dossier era stato depositato in Procura – nel febbraio del 1991 –, Lo Forte, Pignatone e Giammanco, tramite fonti di cui non mi svelò l’identità, ne diedero notizia ad ambienti mafiosi, comunicando anche il contenuto del Rapporto, tant’è che lui stesso ricevette «specifiche indicazioni sulle ultime pagine nelle quali era sintetizzato l’elenco delle persone e delle imprese coinvolte». (…)

Caselli: “A me queste cazzate non interessano”

“(…) Nel 1995 Siino avrebbe poi deciso di collaborare ufficialmente con la Procura di Palermo, che nel frattempo era passata sotto la guida di Gian Carlo Caselli. Anche in quel caso ci trovammo di fronte a una curiosa stranezza procedurale. Caselli, anziché affidare a noi la raccolta delle deposizioni di Siino, considerato che avevamo curato le indagini e lo avevamo già informalmente sentito, le affidò alla Guardia di Finanza. Qualche mattina dopo questa decisione da parte della Procura di Palermo, ricevetti una telefonata dal colonnello Mori. «Ho chiamato Caselli», mi informò con voce ferma, «senza polemica, gli ho fatto presente che non abbiamo preso di buon grado il fatto che abbia affidato Siino alla Guardia di Finanza, anche perché, nel frattempo, lui ci aveva già rilasciato alcune dichiarazioni. Anche in virtù di questo, gli ho proposto di incontrarvi a Palermo, oppure, in alternativa, mi sono offerto di mandargli la relazione di servizio per aggiornarlo…» «E lui cos’ha detto?», domandai incuriosito. «Mi ha ringraziato ma ha detto che al momento non è interessato.» «Davvero non è interessato!?» «Sì, davvero. Per fortuna che assieme a me c’era il generale Ganzer, perché io sono certo che prima o poi questa cosa ci verrà rinfacciata.» E così avvenne. Ma ne parleremo successivamente. Qualche mese dopo, Caselli chiamò Mori invitandolo a Torino. Si premurò di dirgli che voleva che fossi presente anch’io.

Pensammo che finalmente si fosse deciso ad approfondire la questione Siino. In realtà ci attese con un gruppo di altri magistrati, ci fece accomodare in due stanze separate e iniziò a interrogarci con un atteggiamento molto duro, quasi accusatorio. E in effetti, ben presto si passò dal confronto alle accuse. Non si trattava più di Autorità giudiziaria e polizia giudiziaria che si stavano confrontando su un filone di indagini, bensì erano loro che stavano accusando noi. «Siino, nel corso delle sue deposizioni alla Procura di Palermo, ha riferito che il rapporto mafia-appalti sarebbe stato diffuso dal maresciallo Lombardo», disse Caselli guardandomi dritto negli occhi, prima di passarsi una mano tra i folti capelli bianchi. Davanti ai magistrati di Palermo che lo avevano interrogato insieme alla Guardia di Finanza, Siino aveva cambiato versione rispetto a quella che aveva dato nel corso dei nostri colloqui informali in ospedale, e la cosa non mi stupì, considerato che coloro che accusò quando parlò con me erano gli stessi che lo stavano interrogando a Palermo. «Non è assolutamente vero», ribattei alzando il tono della voce, «a me Siino ha detto tutt’altro, che il rapporto è stato diffuso da qualcuno all’interno della Procura di Palermo.» «A me queste cazzate non interessano», rispose secco Caselli. «Interessano a me però, perché mi ha riferito che sono stati i magistrati a diffonderlo…» «Le ho detto che non mi interessa, io questo non lo verbalizzo», disse alzando a sua volta il tono della voce. «E allora verbalizzi che tra me e lei c’è stato un alterco, perché questo deve rimanere agli atti.» «Intanto firmi il verbale!», esclamò (…)”

Ce ne sarebbe abbastanza per un po’ di titoli importanti, considerando che a raccontare queste storie sono un generale della portata di Mario Mori e un ex colonnello dei ROS come Giuseppe De Donno. Eppure, il mainstream tace. Tutti muti.

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